Il sexting, neologismo inglese coniato a metà degli anni 2000, consiste nella pratica di diffusione, attraverso dispositivi elettronici, principalmente il cellulare, di testi e/o immagini sessualmente espliciti. (Cass. Penale Sez. III, n. 5522/2020). Il sexting coinvolge sovente soggetti minorenni, rispetto ai quali produce una serie di rischi per l’integrità fisica e psichica del minore.
Nell’ambito dell’ordinamento giuridico, la tutela della dignità personale del minore trova per lo più riscontro nella disposizione di cui all’art. 600 ter C.p. laddove per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.
La disposizione in esame al comma 1 punisce con la reclusione da sei a dodici anni chi utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico con conseguente punizione (comma 3 e ss.) di chi inserisce quel materiale in un qualsivoglia circuito che lo veicoli a terzi, fosse anche una mera cessione a titolo gratuito. (Cass. Penale Sez. III, n. 5522/2020).
In tal senso, all’interno dell’ordinamento giuridico, si evidenzia il vuoto di tutela del sexting che determina, rispetto alla produzione tradizionale della pedopornografia, un’inversione della strumentalizzazione del minore, che si sposta dal momento della produzione al momento della diffusione, con la conseguenza che l’interprete non deve valutare se il minore sia stato o meno utilizzato, me deve concentrarsi sulle caratteristiche delle immagini e sulla tipicità delle condotte che assumono significato criminoso in sé, senza indagare sull’origine dell’immagine. (Cass. Penale Sez. III, n. 5522/2020).
Se la ratio della norma è quella di garantire una tutela omnicomprensiva del minore, attraverso l’incriminazione di qualsiasi condotta connessa alle immagini pedopornografiche, si deve prendere atto che le condotte disciplinate dai commi successivi al primo sono temporalmente e materialmente distanti dal primo fatto di utilizzazione, (laddove per utilizzazione si indica la strumentalizzazione o reificazione del minore).
In particolare, la dottrina ha ulteriormente approfondito il tema, distinguendo tra il sexting primario, cioè la condotta di chi autoproduce il materiale pornografico e ne curi la cessione a terzi, scriminata dal consenso prestato dal minore di età matura per un rapporto sessuale libero e non condizionato, e il sexting secondario, relativo alla successiva utilizzazione del materiale pedopornografico ricevuto senza il consenso o in aperto dissenso del minore ritratto. In tal senso è stato escluso il reato di detenzione del materiale pedopornografico da parte di chi l’aveva ricevuto direttamente dal soggetto che si era autoritratto, sul presupposto che la norma incriminatrice intendesse reprimere il mercato della pedofilia e non incidere sulla libertà sessuale dell’individuo (Corte d’Appello di Milano, 12 marzo 2014), e in un’altra fattispecie veniva assolto l’imputato dal reato dell’art. 600 ter comma 1, C.p. con riferimento alla condotta della produzione del materiale, frutto dell’autonoma e non condizionata iniziativa della ragazza ritratta, mentre veniva condannato per il reato di cui all’art. 600 ter, comma 3 C.p., per la relativa divulgazione su facebook, finita la storia sentimentale (Gip di Firenze, 27 Gennaio 2015). (cit. Cass. Penale Sez. III, n. 5522/2020).
Ne deriva che accanto al vuoto di tutela con riferimento alla repressione del sexting vi è anche una generale confusione in merito alla disciplina di fattispecie concrete che si evolvono alla velocità digitale, in assenza anche di una riflessione approfondita sulla rilevanza del consenso del minore nella produzione e successiva divulgazione del materiale pornografico.