Interest rate swap
La materia dei derivati, che interessa varie branche del diritto, è oggetto dell’attenzione di dottrina e giurisprudenza da anni, risultando controversa anche l’esistenza di una definizione unificante del fenomeno dei derivati. Infatti, la mancanza nel nostro ordinamento di una definizione generale di «contratto derivato» si spiega con la circostanza che i derivati sono stati creati dalla prassi finanziaria e, solo in seguito, sono stati in qualche misura recepiti dalla regolazione del sistema giuridico. La notevole varietà delle fattispecie che concorrono a formare la categoria dei derivati rende, però, complessa l’individuazione della ricercata nozione unitaria, dovendosi tenere conto che il fenomeno è forse comprensibile in maniera globale solo in un’ottica economica.
Ciò giustifica, quindi, la previsione dell’articolo 1, comma 2 bis, T.u.f., che contiene una delega al Ministro dell’Economia e Finanze per identificare nuovi potenziali contratti derivati: nella sostanza il legislatore italiano ha seguito quello eurounitario, optando per una elencazione di molteplici figure e lasciando all’interprete il compito della reductio ad unum, laddove possibile.
Il cd. interest rate swap, ossia quel contratto di scambio (swap) di obbligazioni pecuniarie future che, in sostanza, si traduce nel dovere di un Tale di dare all’Altro la cifra 5 (dove ó è la somma corrispondente al capitale / per il tasso di interesse W) a fronte dell’impegno assunto dell’Altro di versare al Tale la cifra y (dove y è la somma corrispondente al capitale / per il tasso di interesse Z).
L’interest rate swap è perciò definito come un derivato cd. over the counter (OTC) ossia un contratto: a) in cui gli aspetti fondamentali sono dati dalle parti e il contenuto non è eteroregolamentato come, invece, accade per gli altri derivati, cd. standardizzati o uniformi, essendo elaborato in funzione delle specifiche esigenze del cliente (per questo, detto bespoke); b) perciò non standardizzato e, quindi, non destinato alla circolazione; c) consistente in uno strumento finanziario rispetto al quale l’intermediario è tendenzialmente controparte diretta del proprio cliente.
Come per molti derivati, soprattutto quelli OTC, lo swap, per quanto appena detto, non ha le caratteristiche intrinseche degli strumenti finanziari, e particolarmente non ha la cd. negoziabilità, cioè quella capacità di rappresentare una posizione contrattuale in forme idonee alla circolazione, in quanto esso tende a non divenire autonomo rispetto al negozio che lo ha generato. Inoltre, benché siano stipulati nell’ambito della prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio, ex articolo 23, comma 5, Tuf, nei derivati OTC l’intermediario stipula un contratto (con il cliente) ponendosi quale sua controparte.
Posto che l’interest rate swap è il contratto derivato che prevede l’impegno reciproco delle parti di pagare l’una all’altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro, presa quale astratto riferimento e denominato nozionale, per un dato periodo di tempo, gli elementi essenziali di un interest rate swap sono stati individuati, dalla stessa giurisprudenza di merito, ne:
a) la data di stipulazione del contratto (trade date);
b) il capitale di riferimento, detto nozionale (notional principal amount), che non viene scambiato tra le parti, e serve unicamente per il calcolo degli interessi;
c) la data di inizio (effective date), dalla quale cominciano a maturare gli interessi (normalmente due giorni lavorativi dopo la trade date);
d) la data di scadenza (maturity date o termination date) del contratto;
e) le date di pagamento (payment dates), cioè quelle in cui sono scambiati i flussi di interessi;
f) i diversi tassi di interesse (interest rate) da applicare al detto capitale.
Va, peraltro, ancora precisato che se lo swap stipulato dalle parti è non par, con riferimento alle condizioni corrispettive iniziali, lo squilibrio così emergente esplicitamente dal negozio può essere riequilibrato con il pagamento, al momento della stipulazione, di una somma di denaro al soggetto che accetta le pattuizioni deteriori: questo importo è chiamato upfront (e i contratti non par che non prevedano la clausola di upfront hanno nel valore iniziale negativo dello strumento il costo dell’operazione: nella prassi, il compenso dell’intermediario per il servizio fornito).
Invero, l’IRS può atteggiarsi ad operazione non par non solo in punto di partenza, ma può divenir tale anche con il tempo. In un dato momento lo squilibrio futuro (sopravvenuto) fra i flussi di cassa, che sia attualizzato al presente, può essere oggetto di nuove prognosi ed indurre le parti a sciogliere il contratto. Per compiere queste operazioni assume rilievo il cd. mark to market (MTM) o costo di sostituzione (meglio, il suo metodo di stima), ossia il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all’operazione è disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato: così da divenire, in pratica, il valore corrente di mercato dello swap (il metodo de quo consiste, insomma, in una simulazione giornaliera di chiusura della posizione contrattuale e di stima del conseguente debito/credito delle parti).
Nei fatti, per MTM s’intende principalmente la stima del valore effettivo del contratto ad una certa data (anche se, in astratto, il mark to market non esprime un valore concreto ed attuale, ma una proiezione finanziaria). Il mark to market è, dunque, tecnicamente un valore e non un prezzo, una grandezza monetaria teorica calcolata per l’ipotesi di cessazione del contratto prima del termine naturale.
Più precisamente è un metodo di valutazione delle attività finanziarie che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante indici di aggiornamento monetario, che consiste nel conferire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della scadenza naturale.
In un tale quadro di illustrazioni del fenomeno che va sotto il nome di IRS è assai discussa la questione della causa dello swap.
Una giurisprudenza, con l’appoggio di parte della dottrina, tende a vedere nello swap la causa della scommessa. Ma è difficile accogliere l’idea che un’operazione di interest rate swap, destinata a regolare una pluralità di rapporti per molti anni, muovendo ingentissimi capitali su importanti mercati internazionali, sia da considerare come una qualsiasi lotteria, apparendo palese come lo swap abbia ben poco in comune con lo schema della scommessa di cui agli articoli da 1933 a 1935 cod. civ., della natura contrattuale della quale vi è pure stata discussione in dottrina.
Ciò che distingue l’IRS dalla comune scommessa è proprio la complessità della vicenda e la professionalità dei soggetti coinvolti, sicché l’impostazione più attenta rinviene la causa dell’IRS nella negoziazione e nella monetizzazione di un rischio, atteso che quello strumento contrattuale:
– si forma nel mercato finanziario, con regole sue proprie; di frequente consuetudinarie e tipiche della comunità degli investitori;
riguarda un rischio finanziario che può essere delle parti, ma può pure non appartenere loro;
– concerne dei differenziali calcolati su dei flussi di denaro destinati a formarsi durante un lasso temporale più o meno lungo;
– è espressione di una logica probabilistica, non avendo ad oggetto un’entità specificamente ed esattamente determinata;
– è il risultato di una tradizione giuridica diversa dalla nostra.
A fini puramente descrittivi e semplificativi, si potrebbe dire che l’IRS consiste in una sorta di scommessa finanziaria differenziale (in quest’ultimo aggettivo essendo presente un riferimento alla determinazione solo probabilistica dei suoi effetti ed alla durata nel tempo del rapporto).
Sicché si pone con immediatezza un primo problema, riguardante la validità dello strumento contrattuale che abbia al suo interno questo particolare atteggiarsi della causa dello swap.
In particolare, ci si pone il problema – che è preliminare ad ogni altro pure sollevato dalla sezione semplice – se tali tipi di contratti perseguano interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 cod. civ. e siano muniti di una valida causa in concreto.
Infatti, appare necessario verificare – ai fini della liceità dei contratti – se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perché il legislatore autorizza questo genere di “scommesse razionali” sul presupposto dell’utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità. E tale accordo non deve limitarsi al mark to market, ma investire, altresì, gli scenari probabilistici, poiché il primo è semplicemente un numero che comunica poco in ordine alla consistenza dell’alea. Esso dovrebbe concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti.
Sotto tale ultimo profilo, va rilevato che le obbligazioni pecuniarie nascenti dal derivato non sono mere obbligazioni omogenee di dare somme di denaro fungibile, perché in relazione alla loro quantificazione va data la giusta rilevanza ai parametri di calcolo delle stesse, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse (nell’IRS) e di cambio nel tempo. Sicché l’importanza dei menzionati parametri di calcolo consegue alla circostanza che tramite essi si può realizzare la funzione di gestione del rischio finanziario, con la particolarità che il parametro scelto assume alla scadenza l’effetto di una molteplicità di variabili.
A tale proposito, va richiamato l’articolo 23, comma 5, del TUF, il quale dispone che “Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’articolo 18, comma 5, lettera a), non si applica l’articolo 1933 del codice civile“. Ma tale previsione non intende autorizzare sic et simpliciter una scommessa, ma delimitare, con un criterio soggettivo, la causa dello swap, ricollegandola espressamente al settore finanziario. In questo modo, è disegnato un modello, ponendosi al massimo ancora il problema se tutti i derivati rispondano ad un unico tipo o se la distinzione tra tali tipi riguardi le classi di derivati o i singoli swaps.
Infatti, l’intermediario finanziario è un mandatario dell’investitore, tenuto a fornire raccomandazioni personalizzate al suo assistito; sicché ove l’intermediario, nella prestazione del servizio, compia l’operazione quando doveva astenersi o senza il consenso dell’investitore, gli atti compiuti non possono avere efficacia, a prescindere dal fatto che la condotta dell’agente sia qualificata in termini di inadempimento o di nullità, con conseguente risarcimento del danno.
In tale quadro di corretto adempimento dell’attività d’intermediazione occorre rilevare anche la deduzione dei cd. costi impliciti, riconducendosi ad essi lo squilibrio iniziale dell’alea, misurato in termini probabilistici.
Assume rilievo, perciò, la questione del conflitto di interessi fra intermediario e cliente, poiché nei derivati OTC, a differenza che in quelli uniformi, tale conflitto è naturale, discendendo dall’assommarsi nel medesimo soggetto delle qualità di offerente e consulente. Va escluso il rilievo, ai fini della individuazione della causa tipica, delle funzioni, di speculazione o di copertura, dei derivati OTC perseguite dalle parti, anche se dà ad esse peso, ad esempio, per il giudizio di conformità all’interesse ex articolo 21 TUF e per quello di adeguatezza ed appropriatezza.
Appare perciò utile considerare gli swap come negozi a causa variabile, perché suscettibili di rispondere ora ad una finalità assicurativa ora di copertura di rischi sottostanti; così che la funzione che l’affare persegue va individuata esaminando il caso concreto e che, perciò, in mancanza di una adeguata caratterizzazione causale, detto affare sarà connotato da una irresolutezza di fondo che renderà nullo il relativo contratto perché non caratterizzato da un profilo causale chiaro e definito (o definibile).
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. U. n. 8770/2020