Nel processo penale minorile, accanto all’istituto della messa alla prova (ex art. 28 D.P.R. 448/88), si colloca l’istituto dell’irrilevanza del fatto disciplinato dall’art. 27 D.P.R. 448/1988 che da luogo ad una sentenza di non luogo a procedere nei confronti del minore di diciotto anni. L’istituto in questione, così come gli altri dell’ordinamento minorile, trova una base naturale nella Costituzione che all’art. 31, comma 2, stabilisce che la Repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo“.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “Ai fini della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, ex art. 27 D.P.R. n. 448 del 1988, nel processo a carico di imputati minorenni, devono contemporaneamente sussistere tre requisiti: la tenuità del fatto, l’occasionalità del comportamento e il pregiudizio per il minore derivante da un ulteriore corso del procedimento; il giudizio di tenuità richiede che il fatto sia valutato globalmente, considerando una serie di parametri quali la natura del reato e la pena edittale, l’allarme sociale provocato, la capacità a delinquere, le ragioni che hanno spinto il minore a compiere il reato e le modalità con le quali esso è stato eseguito; l’occasionalità indica, invece, la mancanza di reiterazione di condotte penalmente rilevanti mentre il pregiudizio per le esigenze educative del minore comporta una prognosi negativa in ordine alla prosecuzione del processo, improntato, più che alla repressione, al recupero della devianza del minore” (Cass., Sez. 6, n. 44773 del 07/10/2015; Cass., Sez. 2, n. 32692 del 13/07/2010).
La norma in esame, al comma 1, indica i tre presupposti fondamentali, che devono ricorrere congiuntamente, ai fini dell’applicazione dell’istituto dell’irrilevanza del fatto: la “tenuità del fatto” la cui valutazione spetta al Giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 C.p.; l’ “occasionalità del comportamento” ovvero deve fondarsi su una condotta del minore priva del requisito della ripetibilità e non ancorata ad un sistema criminale stabile e deviante; il “pregiudizio per le esigenze educative del minore” dove occorre valutare, con funzione preventiva, se il prolungamento di un processo non può che essere contrario agli interessi dell’imputato minorenne, alle esigenze della sua educazione, in relazione alla concreta valutazione della personalità dell’imputato, al contesto familiare e ambientale dello stesso e auspicando, al contempo, la “massima tutela dell’imputato minorenne” e la “rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale“.
Accanto a tali requisiti vi è un ulteriore requisito o principio giuridico che è quello dell’accertamento di responsabilità del minore.
Per quanto concerne, invece, il perdono giudiziale, ex art. 169 C.p. quest’ultimo è a discrezione del Giudice e si basa su “un giudizio prognostico positivo sulla effettiva volontà dell’imputato di astenersi per il futuro dal commettere ulteriori reati“. In tal senso soccorre l’orientamento interpretativo stando al quale il beneficio “non costituisce oggetto di un diritto dell’imputato ma è rimesso, al pari della sospensione condizionale della pena, al potere discrezionale del giudice, il quale ha l’obbligo di motivare la propria scelta evidenziando, secondo i criteri indicati dall’art. 133 C.p., gli elementi di rilievo per la prognosi circa gli effetti che, in concreto, possono derivare dal beneficio” (Cass., Sez. 5, n. 19258 del 12/02/2019).
(Corte di Cassazione Ord. n. 25543/ 2020)