La critica politica
Quando la critica viene formulata con modalità che costituiscono espressione della libertà di manifestazione del pensiero, che rientra nella scriminante dell’esercizio del diritto tutelato dall’art. 21 Cost. e art. 51 cod. pen.?
O quando viene ritenuta invece penalmente rilevante in ordine al reato di diffamazione aggravata?
In tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (Cass., Sez. 5, n.4853 del 2017; n. 13735 del 2006; n. 48712 del 2014; n. 5695 del 2015; n. 7244 del 2015; n. 7715 del 2015; n. 4298 del 2016; n. 37397 del 2016; n. 41414 del 2016).
Il requisito della continenza con riferimento all’art. 51 cod. pen., così come declinato nella giurisprudenza di legittimità consiste nell’accezione di “…proporzione, misura e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico. La continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati” (Cass., Sez. 5, n. 3356 del 27/10/2010).
Anche il limite allargato del principio di continenza ricorre in presenza di modalità espressive ironiche, irridenti o sarcastiche, quali manifestazioni di legittima polemica in ordine a contrapposte opinioni e comportamenti comunque di interesse pubblico (Cass., Sez. 5, n. 13563 del 20/10/1998).
Si è sottolineato, infatti, che l’art. 21 Cost., analogamente all’art. 10 Cedu, non tutela unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che “urtano, scuotono o inquietano“, con la conseguenza che di esse non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva, che, una volta riscontrata, integra l’esimente del diritto di critica. (Cass., Sez. 5, n. 25138 del 21/02/2007).
In punto di diritto, va premesso come la sussistenza dell’esimente del diritto di critica presupponga, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente lesive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza dello stesso diritto (Cass., Sez. 5, n. 3047 del 27/01/2011).
L’esercizio di siffatto diritto consente il ricorso anche ad espressioni forti e persino suggestive al fine di potenziare l’efficacia del discorso o del testo e richiamare l’attenzione dell’interlocutore destinatario.
In via generale, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di legittimità si esprime ormai in termini consolidati in riferimento ai requisiti caratterizzanti il necessario bilanciamento degli interessi in conflitto, individuati nell’interesse sociale all’informazione, nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato.
In tal senso, è stato evocato anche il parametro dell’attualità della notizia, nel senso che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione deve essere ravvisata nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico, e dunque nell’attitudine della informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica (tra le tante, Cass., Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012).
Con specifico riferimento al diritto di critica politica, il rispetto del principio di verità si declina peculiarmente, assumendo limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza che il medesimo dispiega sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Cass., Sez. 5, n.25518 del 26/09/2016; Sez. 5, n.7715 del 2015; Sez. 5, n. 4938 del 2011).
Siffatta impostazione si pone in linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la libertà di espressione e quindi contrasta, in principio, con l’art. 10 CEDU, a meno che non sia “prescritta dalla legge“, non persegua uno o più degli obiettivi legittimi ex art. 10 par. 2 e non sia “necessaria in una società democratica“.
In riferimento agli enunciati limiti, la Corte EDU ha, in varie pronunce, sviluppato il principio inerente la verità del fatto narrato per ritenere giustificabile la divulgazione lesiva dell’onore e della reputazione: ed ha declinato l’argomento in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva eccessiva, non scriminabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali.
In tal senso, la Corte Europea si riferisce principalmente al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che è il diritto di opinione, indicando quali siano i limiti da non travalicare nel caso di critica politica.
Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, che costituisce la più avanzata ricognizione della posizione della Corte in materia di art. 10 della Carta nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione), rilevando come nel secondo caso il potenziale offensivo dell’articolo o dello scritto, nel quale è tollerabile – data la sua natura – exaggeration or even provocation, sia neutralizzato dal fatto che lo scritto si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è gratuito e pertanto ingiustificato e diffamatorio.
Nel quadro così sommariamente delineato, ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell’esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione (Cass. Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005).
Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che, comunque, non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Cass., Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010; Sez. 5, n. 38448 del 25/09/2001).
In un quadro di valori di riferimento così peculiarmente connotato, va poi considerato il depotenziamento della carica semantica di talune espressioni in riferimento al contesto in cui vengono utilizzate, quale quello politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati, ed il rilievo secondo cui la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più rilevante sia la posizione pubblica del destinatario (Cass., Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007). Di guisa che il livello e l’intensità, pur notevoli, delle censure indirizzate sotto forma di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l’operatività della scriminante, poiché nell’ambito politico risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Cass., Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005).
Di conseguenza quanto maggiore è il potere esercitato, tanto maggiore è l’esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell’opposizione politica che dei cittadini (Cass., Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007).
Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 18 febbraio 2019, n. 7340