Limite edittale nell’applicazione dell’istituto della messa alla prova

limite edittaleL’art. 168-bis C.p. delimita l’ambito operativo dell’istituto della messa alla prova individuando un duplice criterio, nominativo e quantitativo, che comprende, da un lato, le figure delittuose indicate dall’art. 550, comma 2, C.p.P., e, dall’altro, i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva, sia essa sola, congiunta o alternativa a quella pecuniaria, non superiore nel massimo a quattro anni, senza puntualizzare, però, in questo caso, se nella determinazione del limite edittale debbano essere considerati gli eventuali fattori circostanziali aggravatori.

Da qui la questione che ha dato luogo a soluzioni contrastanti in giurisprudenza.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano sulla seguente questione:

“Se, nella determinazione del limite edittale fissato dall’art. 168-bis, primo comma, C.p., ai fini dell’applicabilità della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, debba tenersi conto delle circostanze aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale”.

In considerazione delle finalità specialpreventive perseguite dall’istituto della messa alla prova e, di conseguenza, del soddisfacimento delle esigenze di prevenzione generale tramite un trattamento che conserva i caratteri sanzionatori, seppure alternativi alla detenzione, risulta pertanto plausibile una sua applicazione anche a reati ritenuti astrattamente gravi.

Sulla base di un approccio sistematico alla lettura dell’art. 168-bis C.p.,  la gravità del reato non deve essere pregiudizialmente enfatizzata nel momento dell’astratto rilievo dei criteri di ammissibilità, in quanto il giudizio effettivo di ammissione del rito resta riservato alla valutazione del giudice circa l’idoneità del programma trattamentale proposto e la prognosi di esclusione della recidiva: valutazione, questa, che si svolge in base ai parametri dell’art. 133 C.p., i quali attengono alla gravità del reato, desunta dalla condotta, dall’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Ed è proprio questa la fase in cui assume effettivo e concreto rilievo la gravità dell’illecito.

Anticipare questa valutazione sin dai criteri astratti di ammissibilità cui fa riferimento l’art. 168-bis C.p. equivale a restringere, in forza di una interpretazione praeter legem, l’ambito operativo della messa alla prova, utilizzando automatismi che irrigidiscono l’istituto in un’ottica di sola prospettiva premiale.

Al contrario, la lettura corretta della norma amplia il perimetro di operatività del rito, spostando sul giudice e sul suo potere discrezionale la motivata valutazione in merito alla fondatezza della richiesta dell’imputato, coerentemente con le finalità specialpreventive della messa alla prova.

L’irrilevanza delle circostanze, nella determinazione del limite edittale, risulta confermata non solo dall’interpretazione letterale dell’art. 168-bis C.p., che pone in evidenza la mancanza di ogni riferimento agli accidentalia delicti, ma anche da un’interpretazione logicosistematica, là dove si osservi che l’effetto di estendere l’ambito applicativo della messa alla prova a reati che possono presentare un maggiore disvalore trova piena giustificazione con il fatto che si tratta di un istituto che prevede, comunque, un “trattamento sanzionatorio” a contenuto afflittivo, non detentivo, che può condurre all’estinzione del reato.

Tale carattere, infine, è confermato dall’art. 657-bis C.p.P, in cui si prevede che nel determinare la pena da eseguire in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, venga comunque detratto il periodo corrispondente a quello della prova eseguita.

In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto:

“Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis C.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.

Corte di Cassazione Sent. Sez. Unite Num. 36272 Anno 2016

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