L’ordine delle cose è un film drammatico del 2017 che con la regia di Andrea Segre e l’interpretazione di Paolo Pierobon, Giuseppe Battiston e Valentina Carnelutti, viene presentato nello stesso anno alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ottenendo diversi riconoscimenti di critica e di pubblico.
L’ordine delle cose racconta la storia di Corrado Rinaldi (alias Paolo Pierobon), alto funzionario del Ministero degli Interni specializzato sull’immigrazione irregolare a cui viene attribuito il difficile compito di occuparsi del problema del traffico di migranti tra la Libia e l’Italia. Ma la sua professionalità viene messa in discussione quando la vita “sempre ordinata” di Corrado si incrocerà con quella di Swada, una donna somala che cerca di scappare dalla detenzione libica e raggiungere l’Europa via mare dove si trova suo marito. A questo punto il protagonista rimetterà in discussione il personale “ordine delle cose” per motivi a carattere umanitario nel riconoscimento di diritti e di libertà.
L’ordine delle cose richiama la difficile questione dell’immigrazione, la mancanza di accordi specifici tra i diversi Stati coinvolti, il silenzio dell’Europa e la lotta per i Diritti Umani.
Il sistema della protezione dello straniero in Italia è articolato su tre livelli: il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
Mentre le prime due forme di protezione trovano fonte diretta nelle normative internazionali ed europee, la protezione umanitaria è un istituto riconducibile a previsioni dell’ordinamento interno.
Lo status di rifugiato è regolato dalla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con la Legge 24 Luglio 1954, n. 722, esplicitamente richiamata dalle rilevanti direttive dell’Unione europea come “pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati” (direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 Aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, poi abrogata dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 Dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta). Tale status è riconosciuto a chi si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza o la dimora abituale e non voglia farvi ritorno “per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale” (art. 2, lettera d, della direttiva 2011/95/UE che riprende la Convenzione di Ginevra).
La “protezione sussidiaria” è regolata dalle citate Direttive UE ed è accordata a chi non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, correrebbe “un rischio effettivo di subire un grave danno” (art. 2, lettera f, della direttiva 2011/95/UE), con ciò intendendosi la pena di morte o l’essere giustiziato, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (art. 15 della Direttiva 2011/95/UE).
Quanto alla “protezione umanitaria“, l’art. 6, paragrafo 4, della Direttiva 115/2008/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 Dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, prevede la possibilità, non già l’obbligo, per gli Stati membri di estendere l’ambito delle forme di protezione tipiche sino a ricomprendere “motivi umanitari, caritatevoli o di altra natura“, rilasciando allo scopo un apposito permesso di soggiorno. A detta facoltà, gli Stati membri hanno dato attuazione nei modi più vari.
Dunque, lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, specificazione della medesima voce “protezione internazionale“, sono accordati in osservanza di obblighi europei e internazionali: il primo per proteggere la persona da atti di persecuzione; la seconda per evitare che questa possa subire un grave danno. Viceversa, la protezione umanitaria è rimessa in larga misura alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere a esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
Col Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella Legge 1° Dicembre 2018, n. 132, il legislatore nazionale è intervenuto solo sull’istituto della protezione umanitaria, senza incidere su quella dovuta in base a obblighi europei e internazionali.
Nell’ordinamento italiano, la protezione umanitaria fu immessa per la prima volta a opera dell’art. 14, comma 3, della Legge 30 Settembre 1993, n. 388 che configurava la protezione umanitaria come ipotesi di deroga al rigetto (e alla revoca) della domanda di permesso di soggiorno, deroga consentita appunto quando ricorressero seri motivi di carattere umanitario. Tale articolo, infatti, prevedeva che un provvedimento di rifiuto o di revoca del permesso di soggiorno potesse essere adottato quando lo straniero non soddisfacesse le condizioni di soggiorno applicabili nel territorio di uno degli Stati contraenti, salvo che ricorressero “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (art. 4, comma 12-ter, del D.L. n. 416 del 1989).
Questo originario riferimento alle esigenze di carattere umanitario, suscettibili di evitare il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno, è stato testualmente ripreso dall’art. 5, comma 6, della Legge 6 Marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), per poi sedimentarsi nell’art. 5, comma 6, del T.U. immigrazione, il cui testo prevedeva, fino all’entrata in vigore del decreto-legge in esame, che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno potessero essere adottati quando lo straniero non soddisfacesse le condizioni di soggiorno salva la ricorrenza di “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano“. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari era rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione.
A seguito dell’introduzione della protezione internazionale (a opera del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251), nelle due forme del riconoscimento dello status di rifugiato e di beneficiario di protezione sussidiaria, era altresì previsto che, in caso di non accoglimento della domanda di protezione internazionale, le competenti commissioni territoriali trasmettessero gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6, del T.U. immigrazione, qualora sussistessero “gravi motivi di carattere umanitario” (art. 32, comma 3, del Decreto Legislativo 28 Gennaio 2008, n. 25, intitolato “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato“).
Per completare il quadro normativo occorre ancora menzionare che, accanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5, comma 6, il T.U. immigrazione prevedeva altresì alcune fattispecie particolari di permesso di soggiorno (per motivi di protezione sociale, ex art. 18; per particolare sfruttamento lavorativo, ex art. 22, comma 12-quater; per le vittime di violenza domestica, ex art. 18-bis), in cui erano comunque evidenti le esigenze di carattere umanitario sottese alle singole fattispecie.
La protezione umanitaria ha ricevuto ampia applicazione nella prassi giurisprudenziale, che ne ha via via precisato i contorni, grazie all’attività interpretativa della giurisprudenza di merito e di legittimità che ha assicurato l’effettività del quadro normativo ora brevemente descritto alla luce delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione e dagli altri strumenti di tutela europea e internazionale.
Secondo la Corte di cassazione, in particolare, il permesso di soggiorno per motivi umanitari si collega al diritto di asilo costituzionale, di cui all’art. 10, terzo comma, Cost., oltre che alla “protezione complementare” che la normativa europea consente agli Stati membri di riconoscere, anche per motivi umanitari o caritatevoli, alle persone che non possono rivendicare lo status di rifugiato e neppure beneficiare della protezione sussidiaria, benché siano minacciate nei propri diritti fondamentali in caso di rinvio nel paese d’origine (così, tra le molte, Cass. S.U. sentenze 11 Dicembre 2018, n. 32177 e n. 32044). Inoltre, nella giurisprudenza di legittimità i “seri motivi umanitari” erano tutti accomunati dallo scopo di tutelare situazioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un’esigenza concernente la salvaguardia di diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale (Cass., Sez. 1^, ordinanza 12 Novembre 2018, n. 28996).
In tale cornice normativa, è intervenuto l’art. 1 del D.L. n. 113 del 2018 che ha eliminato dall’art. 5, comma 6, del T.U. immigrazione il riferimento ai “seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” e, più in generale, ha espunto dall’ordinamento ogni riferimento al permesso di soggiorno “per motivi umanitari” contenuto in diversi testi normativi. Tuttavia, la medesima disposizione ha contestualmente delineato una serie di “casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario“.
In sintesi, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che scompare come istituto generale e atipico, viene sostituito dai seguenti permessi di soggiorno: a) permessi di soggiorno per “casi speciali” (ipotesi di cui agli artt. 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, del T.U. immigrazione); b) permesso di soggiorno per “cure mediche” (ipotesi di cui all’art. 19, comma 2, lettera d-bis); c) permesso di soggiorno per calamità (ipotesi di cui all’art. 20-bis); d) permesso di soggiorno per motivi di particolare valore civile (ipotesi di cui all’art. 42-bis).
I permessi di soggiorno per “casi speciali” (ipotesi di cui agli artt. 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, del T.U. immigrazione), sostituiscono i precedenti permessi di soggiorno “per motivi di protezione sociale“, “per vittime di violenza domestica” e “per particolare sfruttamento lavorativo“, dei quali mantengono sostanzialmente invariata la portata.
In particolare, lo speciale permesso di cui all’art. 18 del T.U. immigrazione è rilasciato dal questore quando siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’organizzazione criminale dedita allo sfruttamento della prostituzione, al fine di consentirgli di sottrarsi alla violenza e a detti condizionamenti nonché di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale.
Il permesso di cui al successivo art. 18-bis è rilasciato dal questore a fronte di accertate situazioni di violenza o abuso per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza domestica, con ciò intendendosi “uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima“.
Il permesso di cui all’art. 22, comma 12-quater, è rilasciato dal questore nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro.
Il permesso di soggiorno per “cure mediche” (di cui all’art. 19, comma 2, lettera d-bis) è rilasciato dal questore agli stranieri che versino in condizioni di salute di particolare gravità, accertate mediante idonea documentazione proveniente da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, e tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi in caso di rientro nel paese di origine o di provenienza.
Il permesso di soggiorno per calamità (di cui all’art. 20-bis) è rilasciato dal questore quando il paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza.
Il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile (di cui all’art. 42-bis), infine, deve essere autorizzato dal Ministro dell’interno, su proposta del prefetto competente, ed è rilasciato nei casi in cui lo straniero abbia compiuto atti di particolare valore civile.
Accanto a dette ipotesi, il legislatore ha poi introdotto un nuovo permesso di soggiorno per “protezione speciale” per i casi in cui non si accolga la domanda di protezione internazionale dello straniero e al contempo ne sia vietata l’espulsione o il respingimento, nell’eventualità che questi “possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” (art. 19, comma 1, del T.U. immigrazione), oppure esistano fondati motivi di ritenere che rischi di essere sottoposto a tortura (art. 19, comma 1.1., del T.U. immigrazione).
In sintesi, con l’art. 1 del D.L. n. 113 del 2018 il legislatore è intervenuto sulle qualifiche che danno titolo ai permessi di soggiorno sul territorio nazionale specificando, in un ventaglio di ipotesi nominate, i “seri motivi di carattere umanitario” prima genericamente enunciati all’art. 5, comma 6, del T.U. immigrazione.
Corte Costituzionale sentenza n. 194/ 2019