Mancata previsione di statuizioni risarcitorie nell’ordinanza ammissiva della messa alla prova
La mancata previsione di statuizioni risarcitorie nell’ordinanza ammissiva della messa alla prova costituisce una condizione per l’accesso al rito speciale?
L’elisione delle conseguenze dannose della condotta criminosa o il risarcimento del danno, infatti, nel sistema delineato dal legislatore per la messa alla prova, a differenza, ad esempio, di quanto è previsto in materia di accesso al patteggiamento con riferimento ad alcuni delitti contro la pubblica amministrazione o ai delitti tributari, non costituiscono una condizione per l’accesso al rito speciale.
L’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. nei procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 322 bis del codice penale, sancisce, infatti, che l’ammissibilità della richiesta di applicazione della pena è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.
L’art. 13, comma 2-bis, del d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 prevede, inoltre, che per i delitti in materia tributaria sanzionati nel medesimo decreto, le parti possano chiedere l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (c.d. patteggiamento) solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti.
Radicalmente diversa è, invece, la disciplina dettata dal legislatore per l’eliminazione delle conseguenze del reato e il risarcimento del danno nella messa alla prova.
L’art. 168-bis, secondo comma, cod. pen., infatti, sancisce che «La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato».
L’art. 464-bis, comma 4, lett. b), cod. proc. pen. prevede, inoltre, che il programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, allegato all’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova contenga «le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale».
Tali disposizioni dimostrano come, nel disegno del legislatore, il risarcimento del danno non costituisca una condizione di ammissibilità dell’ordinanza di ammissione della messa alla prova, bensì un contenuto del programma di trattamento, peraltro solo eventuale («ove possibile»).
Il risarcimento del danno potrà, infatti, non essere «possibile» in ragione della natura del reato contestato, che non consente di configurare un danno risarcibile, dell’insussistenza o dell’irreparabilità della vittima o del danneggiato, ma anche delle condizioni economiche dell’imputato, che rendano la riparazione pecuniaria di fatto inesigibile; nella verifica di tale possibilità, si esercita la discrezionalità del giudice.
Tale disciplina consente, peraltro, anche di “compensare” l’assenza di risarcimento del danno per incapienza dell’imputato ammesso alla prova con una maggiore durata delle prescrizioni comportamentali o con la previsione di ulteriori impegni specifici.
A differenza del difetto delle condizioni di ammissibilità per disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova, che può essere sindacato in sede di legittimità (ex plurimis: Cass., Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, relativa all’insussistenza dei limiti edittali per consentire l’accesso a tale rito speciale), pertanto, la mancata previsione del risarcimento del danno, anche in relazione alla sua impossibilità nel caso di specie, attiene al novero delle censure di merito, quali quelle relative alla quantità e la qualità degli obblighi e delle prescrizioni imposte, sottratte al sindacato della Corte di Cassazione.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di legittimità, infatti, «la decisione del giudice sull’ammissione o meno dell’imputato alla prova trova il suo fulcro proprio nella valutazione di idoneità del programma, caratterizzata da una piena discrezionalità che attinge il merito».
«Il giudizio sull’idoneità del programma, quindi sui contenuti dello stesso, comprensivi sia della parte “afflittiva” sia di quella “rieducativa”» postula, infatti, una «valutazione complessa, connotata da una forte discrezionalità del giudizio che riguarda l’an e il quomodo dell’istituto della messa alla prova in chiave di capacità di risocializzazione, verificando i contenuti prescrittivi e di sostegno rispetto alla personalità dell’imputato, che presuppone anche la valutazione dell’assenza del pericolo di recidiva» (Cass., Sez. U., n. 33216 del 31/03/2016).
Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 1603 del 17 gennaio 2022