La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la revoca del contributo di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, nonostante la mancata sussistenza dell’indipendenza economica del figlio e la percezione da parte di quest’ultimo di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita.
Nel caso di specie era stata disposta la revoca del contributo di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, versato dal padre alla madre, convivente con il figlio, in forza delle statuizioni del Tribunale, da parte del giudice del merito in applicazione degli artt. 337 septies, 147 e ss. c.c., e dell’art. 30 Cost.
Orbene, a parere della Collegio, la Corte territoriale, con motivazione adeguata e facendo corretta applicazione dell’art. 337 septies c.c., secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di mantenimento del figlio maggiorenne (cfr. Cass. n. 12952/2016; Cass. n. 18076/2014; Cass. Sez. Un. 20448/2014), ha rilevato che il figlio, oramai trentaduenne, aveva abbandonato gli studi all’età di sedici anni, aveva frequentato corsi di formazione professionale nel corso degli ultimi anni, aveva avuto esperienze lavorative, seppur saltuarie, e non risultavano presenti circostanze oggettive o soggettive tali da giustificare la sua impossibilità di inserirsi nel mondo del lavoro.
La Corte di merito ha, dunque, dato concreta applicazione al principio della autoresponsabilità, che impone al figlio di non abusare del diritto ad essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione” e, nella valutazione degli indici di rilevanza, come enucleati dalla giurisprudenza di della Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 12952/2016 e Cass. n. 18076/2014 citate), ha correttamente ritenuto di dover ponderare la sussistenza dei requisiti per il mantenimento con rigore crescente con il crescere dell’età del figlio.
Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza 8 novembre 2021, n. 32406