Messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi

Messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi Responsabilità civile dei magistrati Risarcimento del danno Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale Esercizio del commercio in aree di valore culturale Codice dei beni culturali Limiti al diritto di manifestare liberamente La libertà di manifestazione del pensiero La tutela dei beni culturali Prostituzione volontaria Immobili ed aree di notevole interesse pubblico Reddito di cittadinanza Diffamazione a mezzo stampa giudizio abbreviato e immediato Controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni Libertà e la segretezza della corrispondenza violenza sessuale di gruppoLa Corte Costituzionale con la sentenza in commento dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.

Cuore della censura è la constatazione dell’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato cui tutti i reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso vengano contestati nell’ambito di un unico procedimento, nel quale egli ha la possibilità di accedere al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, e l’imputato nei cui confronti l’azione penale venga inizialmente esercitata solo in relazione ad alcuni di tali reati, e che si veda contestare gli altri, per effetto di una scelta discrezionale del pubblico ministero o di altre evenienze processuali, nell’ambito di un diverso procedimento, dopo che egli abbia già avuto accesso alla messa alla prova. Questo secondo imputato si trova così nell’impossibilità di ottenere una seconda volta il beneficio, cui avrebbe invece potuto accedere ove tutti i reati gli fossero stati contestati in un unico procedimento.

Preclusioni analoghe a quella oggi all’esame sono già state dichiarate costituzionalmente illegittime da sentenze risalenti di questa Corte.

In un contesto normativo in cui la sospensione condizionale della pena poteva parimenti essere concessa una volta soltanto, la sentenza n. 86 del 1970 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 164, secondo comma, numero 1), e 168 cod. pen., nelle formulazioni all’epoca vigenti, nella parte in cui disponevano che il giudice non potesse esercitare il potere di concedere o negare il beneficio della sospensione condizionale, ovvero dovesse revocare di diritto il beneficio già concesso, quando il secondo reato fosse legato dal vincolo della continuazione a quello punito con pena sospesa.

La Corte aveva, allora, osservato che le norme censurate facevano «dipendere l’esistenza del nesso di continuità fra due reati da circostanze occasionali, e cioè a dire, dal fatto che la continuazione sia accertata in un solo tempo anziché in tempi successivi, circostanze che non possono elevarsi a fondamento di una diversa disciplina […]. La circostanza che il primo giudice non era a notizia che l’imputato aveva, in continuazione, ancora violato la legge penale, non può perciò impedire al secondo giudice di compiere gli apprezzamenti che avrebbe fatto il primo, e imporgli di sostituire, al suo libero convincimento, una presunzione legale di inopportunità della sospensione. Tale inopportunità non può spiegarsi nemmeno con il rilievo che l’imputato non rese noto al giudice di aver commesso i nuovi reati, perché, se così potesse ragionarsi, dalla norma si farebbe derivare una inconcepibile sanzione alla reticenza dell’imputato; al quale invece l’ordinamento garantisce piena libertà di comportamento processuale, al riparo dalla presunzione della sua non colpevolezza».

Analoga sorte ha colpito, ad opera della sentenza n. 108 del 1973, l’art. 169 cod. pen., nella parte cui – prevedendo che il perdono giudiziale per i minori di diciotto anni possa essere concesso una sola volta – non consentiva di estendere il beneficio ad altri reati legati dal vincolo della continuazione a quello per il quale era stato accordato. In quella occasione, questa Corte richiamò gli argomenti già spesi nella sentenza n. 86 del 1970, rilevando la stretta similitudine tra le due questioni.

Nella sentenza n. 295 del 1986, invece, è stata ritenuta non fondata una questione mirante a estendere la possibilità di concedere una seconda volta il perdono giudiziale in relazione a reati commessi successivamente alla prima concessione, sul rilievo che tale situazione fosse essenzialmente diversa rispetto a quella esaminata dalle sentenze n. 86 del 1970 e n. 108 del 1973.

Infine, con la sentenza n. 267 del 1987, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’allora vigente art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui escludeva la reiterabilità del provvedimento di concessione delle sanzioni sostitutive della libertà controllata e della pena pecuniaria, quando l’imputato dovesse rispondere di reati avvinti dalla continuazione a quelli per i quali egli avesse già fruito del beneficio.

Anche in questa occasione, furono richiamati i principi espressi dalla sentenza n. 86 del 1970, affermandosi che «il caso “riguardante più fatti legati da nesso di continuità con altri puniti con sentenza precedente non può essere trattato diversamente dal caso in cui la continuazione viene accertata con unica sentenza”, ad evitare che un nesso “sostanziale”, quale quello di continuità, venga fatto dipendere da circostanze meramente occasionali».

È sulla base dei medesimi principi che deve essere risolta la questione ora all’esame.

Come rilevato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (Sez. II, sentenza 12 marzo 2015, n. 14112), di cui questa la Corte Costituzionale ha recentemente preso atto (sentenza n. 146 del 2022), la preclusione posta dall’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen., non osta a che uno stesso imputato possa essere ammesso al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova anche qualora gli vengano contestati più reati nell’ambito del medesimo procedimento, sempre che i limiti edittali di ciascuno di essi siano compatibili con la concessione del beneficio. Ciò vale, evidentemente, anche nel caso specifico in cui tali reati siano avvinti dalla continuazione, essendo stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. In una tale situazione, infatti, l’ordinamento considera unitariamente i reati ai fini sanzionatori, prevedendo l’inflizione di una sola pena che tenga conto del loro complessivo disvalore; sicché appare logico che, ove tutti i singoli reati siano compatibili, in ragione dei rispettivi limiti edittali, con il beneficio della messa alla prova, l’imputato possa essere ammesso ad un percorso unitario di risocializzazione e riparazione, nel quale si sostanzia il beneficio medesimo (ancora, sentenza n. 146 del 2022 e le altre pronunce ivi citate), e il cui esito positivo comporta l’estinzione dei reati contestati.

In ipotesi come quella verificatasi nel giudizio a quo, dunque, se tutti i reati commessi in continuazione fossero stati contestati nell’ambito di un unico procedimento, i relativi imputati ben avrebbero avuto la possibilità di chiedere e – sussistendone tutti i presupposti – di ottenere il beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione a tutti i reati, il cui esito positivo avrebbe determinato l’estinzione dei reati medesimi.

Risulta, allora, irragionevole che quando, per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati avvinti dalla continuazione vengano invece contestati in distinti procedimenti, gli imputati non abbiano più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la messa alla prova, allorché siano stati già ammessi al beneficio nel primo. Ciò equivarrebbe a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore – possibilità che costituisce «una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» dell’imputato di cui all’art. 24 Cost. (ex multis, sentenza n. 192 del 2020, nonché sentenze n. 19 e n. 14 del 2020, n. 131 del 2019) – dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l’imputato stesso non può in alcun modo influire.

Sotto un diverso ma connesso profilo, la preclusione censurata, applicata a ipotesi come quella all’esame, finisce per frustrare lo stesso intento legislativo di sanzionare in maniera unitaria il reato continuato, attraverso un aumento della pena prevista per il reato più grave, secondo la regola generale posta dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. – intento, si noti, che non è precluso nemmeno dall’intervento del giudicato, come dimostra l’art. 671 cod. proc. pen., che consente al giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena complessiva per più reati giudicati separatamente con sentenze o decreti penali irrevocabili, tenendo conto appunto della continuazione tra gli stessi.

Se è vero, infatti, che la messa alla prova dell’imputato maggiorenne ha anche una innegabile connotazione sanzionatoria rispetto al reato per il quale si procede (sentenze n. 146 del 2022, n. 139 e n. 75 del 2020, n. 68 del 2019), l’impossibilità di ammettere alla messa alla prova chi abbia già avuto accesso al beneficio in relazione ad altro reato commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso si traduce nell’impossibilità di sanzionare in modo sostanzialmente unitario tutti i reati avvinti dalla continuazione, in contrasto con la logica del sistema del codice penale.

Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, per l’altra ipotesi di connessione prevista dall’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., che si verifica nel caso del concorso formale disciplinato dall’art. 81, primo comma, cod. pen., e dunque allorché più reati sono commessi dalla stessa persona con una sola azione od omissione. Anche in questo caso, il legislatore prevede che il trattamento sanzionatorio sia commisurato unitariamente dal giudice, secondo le medesime regole che vigono per il reato continuato: il che normalmente accade nell’ambito di un unico processo. Sicché, nelle ipotesi in cui il pubblico ministero abbia invece proceduto per reati in concorso formale nell’ambito di procedimenti distinti – e sempre che il secondo procedimento non sia di per sé precluso dall’art. 649 cod. pen. (sul punto, sentenza n. 200 del 2016, punto 12 del Considerato in diritto) –, risulterebbe irragionevole negare all’imputato la possibilità di accedere nuovamente alla messa alla prova, nell’ambito di un procedimento che ha pur sempre ad oggetto la medesima condotta attiva od omissiva per la quale egli ha già fruito del beneficio.

Da tutto ciò discende che la disposizione censurata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.

In una simile ipotesi, spetterà al giudice, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato. In tale valutazione non potrà non tenersi conto – per un verso – della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, e – per altro verso – del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente già compiuto durante la prima messa alla prova. Nel caso poi in cui ritenga di poter concedere nuovamente il beneficio, il giudice stabilirà la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque entro i limiti complessivi indicati dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen., valorizzando opportunamente il percorso già compiuto, alla luce dell’esigenza – sottesa al sistema – di apprestare una risposta sanzionatoria sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 174 ANNO 2022

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