Non si possono porre a carico di un soggetto che pubblica un post satirico su un social network oneri informativi (manifestazione del pensiero argomentata e fondata su elementi concreti così da lasciare al pubblico dei lettori la possibilità di apprezzare il fatto) analoghi a quelli gravanti su di un giornalista professionista, senza tener conto della profonda diversità tra le due figure per ruolo, funzione, formazione, capacità espressive, spazio divulgativo e relativo contesto.
Nel caso di specie le espressioni incriminate, inserite nel contesto in cui si sono sviluppate, concernono la critica ai prezzi praticati dalla gastronomia e al dubbio manifestato circa la rispondenza, in una specifica occasione, tra peso effettivo della merce e prezzo applicato.
Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, Rv. 261122).
Il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. (Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016).
La causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., sub specie dell’esercizio del diritto di critica, ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità.
Nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (Cass., Sez. 5, n.4853 del 18/11/2016).
Come già ricordato in premessa, a differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un’opinione. E’ vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non può pretendersi che sia “obiettivo“. La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse, ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perchè, se la materialità dei fatti può essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Cass., Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014).
Nel caso di specie, il linguaggio, figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall’agente sono funzionali alla critica perseguita, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (Cass., Sez. 5 n. 42570 del 20/06/0218).
Corte di Cassazione n. 3148/2018