Ordine di indagine europeo
L’ordine di indagine europeo è una decisione giudiziaria emessa o convalidata dall’autorità giudiziaria di un paese dell’UE per ottenere atti di indagine effettuati in un altro paese dell’UE al fine di raccogliere elementi di prova in materia penale.
La Direttiva OEI – strumento normativo dell’Unione europea che si iscrive nel quadro del sistema del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziari in materia penale – prevede che, per compiere uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro (lo «Stato di esecuzione») ai fini di acquisire prove, sia emessa “una decisione giudiziaria” (ordine di indagine europeo) da una autorità competente, secondo l’ordinamento nazionale, a disporre tali atti.
E ciò al fine di garantire che “l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’ordine di indagine europeo avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo” (art. 6).
Competenza ad emettere l’ordine di indagine europeo
Quindi l’ordine di indagine europeo presuppone in primo luogo la “competenza” dell’autorità di emissione all’adozione dell’atto “specifico” che si intende eseguire all’estero e, coerentemente, la sussistenza delle condizioni per l’emissione dell’atto in questione nello Stato di emissione.
Questa regola ha la funzione di assicurare già nello Stato di emissione il controllo “a monte” sull’atto che si intende eseguire od ottenere all’estero: spetta infatti all’autorità di emissione il compito di accertare ai sensi dell’art. 6, par. 1, della Direttiva «se le prove che si intende acquisire sono necessarie e proporzionate ai fini del procedimento, se l’atto di indagine scelto è necessario e proporzionato per l’acquisizione di tali prove», nonché «il pieno rispetto dei diritti stabiliti nell’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (considerando n. 11). Il d.lgs. n. 108 del 2017 all’art. 27 ha stabilito che autorità competenti ad emettere l’ordine di indagine europeo sono il pubblico ministero e il giudice che procede «nell’ambito delle rispettive attribuzioni», assegnando così al pubblico ministero la legittimazione alla emissione dell’ordine per la fase delle indagini preliminari.
Il legislatore delegato ha così valorizzato il “dominio” della fase da parte del pubblico ministero, anche quando l’ordine di indagine europeo abbia per oggetto attività postulanti il previo controllo autorizzativo del giudice, posto che la competenza del giudice per le indagini è soltanto incidentale.
Il decreto ha altresì escluso per tale fase che l’emissione dell’ordine di indagine europeo debba essere preceduta dal contraddittorio con le parti (riservato solo ai procedimenti in cui sia il giudice ad emettere l’ordine).
Quindi la scelta del legislatore delegato è stata quella di diversificare la competenza ad emettere l’ordine di indagine europeo da quella ad emettere l’atto di indagine richiesto.
Peraltro, nell’attribuire al pubblico ministero per la fase delle indagini la competenza ad emettere l’ordine di indagine europeo per ogni tipologia di atto da acquisire all’estero, il decreto legislativo ha espressamente previsto – se pur per le sole intercettazioni – che l’ordine sia preceduto dalla adozione del provvedimento di autorizzazione da parte del Giudice per le indagini preliminari (art. 43).
Spetta a quest’ultimo infatti «verificare i presupposti della richiesta, in base alla disciplina codicistica», e quindi – eventualmente – respingerla in assenza di tali presupposti (così espressamente la Relazione illustrativa). Poiché il provvedimento autorizzativo non è previsto possa essere allegato all’ordine, nell’ordine di indagine europeo il pubblico ministero dovrà esporre «i motivi per cui considera l’atto di indagine utile al procedimento penale».
Quando invece l’atto da eseguire all’estero sia di competenza dello stesso pubblico ministero, secondo la disciplina codicistica, è l’ordine di indagine europeo – quale decisione giudiziaria – a costituire l’atto interno di indagine (l’art. 28 infatti prevede in caso di sequestro probatorio che sia l’ordine di indagine europeo ad essere oggetto di impugnativa).
L’ordine di indagine europeo può essere emesso anche per acquisire prove già disponibili nello Stato di esecuzione (art. 1: “prove già in possesso dell’autorità dello Stato di esecuzione“).
La Direttiva OEI, infatti, ha inglobato il meccanismo di cooperazione già previsto in ambito U.E. per l’acquisizione di mezzi di prova già esistenti e disponibili nello Stato di esecuzione – la decisione quadro 2008/978/GAI sul mandato di ricerca della prova (che l’Italia non ha implementato) – che, come si legge nella proposta della Commissione europea (doc. COM (2003) 688 del 14 novembre 2003), poteva essere utilizzato per acquisire anche «i dati esistenti riguardanti le comunicazioni intercettate». Quanto alle regole previste da tale ultimo strumento, è significativo che la decisione quadro avesse previsto, quali condizioni per l’emissione del mandato, non solo una valutazione da parte dell’autorità di emissione sulla necessità e proporzionalità dell’acquisizione delle prove rispetto al procedimento penale a quo, ma anche la “compatibilità” della stessa acquisizione rispetto alla legislazione dello Stato di emissione “se le prove fossero state disponibili nel territorio dello Stato di emissione” (il mandato, in altri termini, poteva essere emesso soltanto nei casi in cui gli oggetti, i documenti o i dati erano acquisibili in base alla legislazione nazionale). Tale condizione, come si legge nella relativa proposta della Commissione europea, intendeva evitare che il suddetto meccanismo di acquisizione della prova venisse ad aggirare divieti o limiti previsti dalla legislazione dello Stato di emissione.
Poiché né la Direttiva OEI né il decreto legislativo attuativo hanno dettato regole specifiche per l’emissione dell’ordine di indagine europeo per l’acquisizione di prove già disponibili, deve ritenersi ferma anche per tale forma di ordine la competenza del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari.
Il problema piuttosto attiene alla necessità che l’ordine di indagine europeo sia preceduto o meno da un provvedimento autorizzativo del giudice, laddove questo sia previsto dalla normativa nazionale per la tipologia di atto da acquisire.
Illegittima emissione dell’ordine di indagine europeo
Va chiarito, dunque, quali siano le conseguenze derivanti dalla illegittima emissione dell’ordine di indagine europeo in quanto non preceduto dal necessario provvedimento del giudice.
La Direttiva OEI prevede che la difesa possa in primo luogo far valere i mezzi di impugnazione disponibili presso lo Stato di esecuzione così da impedire il riconoscimento dell’ordine di indagine europeo o la trasmissione della prova o comunque la sua utilizzazione nel procedimento ad quem (art. 14), dovendo lo Stato di emissione tener conto dell’esito di una impugnazione attuata con successo dall’interessato.
Tra i profili che la difesa può far rilevare presso lo Stato di esecuzione si pone quello della competenza dell’autorità di emissione ad adottare lo specifico atto richiesto (in tal senso cfr. sent. Corte giust. UE, 16/12/2021, HP C-724/19, cit.).
A sua volta, lo Stato di emissione, come ha chiarito la Corte di giustizia, indipendentemente dai rimedi esperibili presso lo Stato di esecuzione, deve consentire alla difesa di contestare «la necessità e la regolarità di un ordine europeo di indagine» (sent. 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19).
Nel silenzio del decreto attuativo della Direttiva OEI, deve ritenersi che la difesa possa avvalersi dei rimedi previsti dal nostro ordinamento per sottoporre a verifica il profilo della illegittimità dell’ordine di indagine europeo (principio già affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ad una richiesta di assistenza giudiziaria, Sez. U, n. 21420 del 16/04/2003, Monnier).
Ebbene, laddove risulti che l’attività di indagine svolta all’estero sia stata eseguita sulla base di un ordine illegittimo, perché emesso senza il necessario provvedimento del giudice, la genesi patologica della prova raccolta all’estero non può che riflettersi sul procedimento penale di destinazione, decretando la inutilizzabilità della prova.
Diverse sono invece le conseguenze di tale illegittimità laddove si accerti che l’ordine di indagine europeo è stato emesso al fine di acquisire una prova “già disponibile” nello Stato di esecuzione.
Posto che non risulta che la difesa ha eccepito con successo presso lo Stato di esecuzione la illegittima emissione dell’ordine di indagine europeo da parte del pubblico ministero italiano, tale profilo risulta definitivamente assorbito dalla trasmissione della prova ad opera di quest’ultimo (verificandosi un caso analogo a quello in cui la prova è stata spontaneamente messa a disposizione di un altro Stato, secondo un meccanismo oramai consolidato nella normativa internazionale e nelle prassi delle relazioni tra Stati).
A fronte di una prova definitivamente trasmessa all’autorità italiana, la questione posta dalla difesa in questa sede della competenza ad emettere l’ordine di indagine europeo risulta quindi preclusa e, con essa, anche la richiesta formulata dalla difesa di rimetterne la interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Ciò non esclude, peraltro, come ha richiesto la Corte di giustizia, che la difesa possa ottenere, attraverso i rimedi disponibili nella nostra legislazione, la verifica sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità della prova secondo le regole proprie dell’ordinamento nazionale. Verifica che, se non effettuata dall’autorità giudiziaria competente nel procedimento nazionale prima dell’emissione dell’ordine di indagine europeo, incidentalmente, può essere effettuata successivamente anche dal Giudice del riesame.
La Direttiva OEI non ha disciplinato infatti la utilizzabilità della prova acquisita con l’ordine di indagine europeo, rinviando per tale aspetto al diritto dello Stato di emissione, fatti salvi in ogni caso “i diritti della difesa” e le garanzie di “un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite l’OEI» (art. 14, par. 7).
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 6 n. 44155 del 2023