La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta, con riferimento all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova e prima di rimettere il quesito di diritto alle Sezioni Unite, la seguente questione: «Se il procuratore generale sia legittimato a proporre impugnazione avverso l’ordinanza che ammette l’imputato alla messa alla prova ai sensi dell’art. 464 bis C.p.P. e avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 464 septies C.p.P., e quali siano i vizi deducibili con il ricorso avverso tale sentenza».
In attesa della risoluzione del quesito di diritto da parte delle Sezioni Unite della Corte di legittimità si riporta quanto segue, da cui si evince l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale.
Come noto, la disciplina processuale dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è contenuta nel titolo V bis del libro VI de codice di rito, dedicato ai procedimenti speciali. Ai fini che qui interessano vengono in considerazione, in particolare: l’art. 464 quater, comma 7, in base al quale «l’imputato e il pubblico ministero anche su istanza della persona offesa» possono ricorrere per cassazione «contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova» e «l’impugnazione non sospende il procedimento»; l’art. 464 septies, comma 1, in base al quale, «decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo»; l’art. 464 septies, comma 2, in base al quale «in caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso».
Sul tema la giurisprudenza di legittimità ha espresso orientamenti contrapposti.
Secondo un primo orientamento, il procuratore generale presso la corte di appello «è legittimato ad impugnare l’ordinanza di accoglimento dell’istanza di sospensione del procedimento unitamente alla sentenza con la quale il giudice dichiara l’estinzione del reato per esito positivo della prova, qualora non sia stata effettuata nei suoi confronti la comunicazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza di sospensione» (Cass., Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021; Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019; Sez. 5, n. 7231 del 06/11/2020; Sez. 2, n. 7477 del 08/01/2021).
Secondo un altro orientamento, invece, il procuratore generale presso la corte di appello non sarebbe legittimato a impugnare l’ordinanza di accoglimento dell’istanza di sospensione del procedimento «non essendo individuato tra i soggetti – l’imputato, il pubblico ministero e la persona offesa – che possono proporre ricorso per cassazione […] ai sensi dell’art. 464 quater, comma 7, C.p.P.» (Cass., Sez. 6, n. 18317 del 09/04/2021).
Nell’ambito di questo orientamento si registrano due diverse impostazioni.
Mentre la sentenza n. 18317 del 09/04/2021 esclude che il procuratore generale presso la corte d’appello possa impugnare l’ordinanza di accoglimento dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova non essendo comunque individuato tra i soggetti legittimati ai sensi dell’art. 464 quater C.p.P., una precedente sentenza (Sez. 6, n. 21046 del 10/06/2020) esclude in termini espliciti solo che il pubblico ministero possa impugnare tale ordinanza «ai sensi dell’art. 586 C.p.P., quindi congiuntamente alla sentenza di non luogo a procedere, parallelamente a quanto previsto avverso le ordinanze di rigetto, impugnabili dall’imputato unitamente alla sentenza di condanna» e dichiara inammissibile il ricorso proposto dal procuratore generale contro la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 464 septies C.p.P. sottolineando che, con l’impugnazione di tale sentenza non possono più essere dedotte doglianze relative «all’originaria insussistenza di uno dei presupposti stabiliti dall’art. 168 bis C.p. per l’accesso al rito speciale».
Di tenore analogo sono le sentenze n. 5093 del 14/01/2020 e n. 17951 del 01/04/2019, nelle quali non si esclude in termini espliciti la possibilità per il procuratore generale di impugnare l’ordinanza di ammissione alla prova, ma, a fronte di un ricorso proposto contro la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato, si sostiene che tale impugnazione non possa essere proposta per vizi afferenti al provvedimento di sospensione del processo di cui all’art. 464-quater C.p.P.; vizi che avrebbero dovuto essere fatti valere con l’impugnazione del provvedimento.
La sentenza n. 1603 del 09/11/2021 sembra porsi in contrasto con la sentenza n. 18317 del 09/04/2021. Valuta infatti «tempestivo» il ricorso proposto dal procuratore generale contro un’ordinanza di ammissione alla prova – ancorché proposto unitamente alla sentenza – rilevando che l’ordinanza non era stata comunicata alla procura generale. Riconosce, dunque, che il procuratore generale debba essere avvisato dell’ammissione alla prova e sia legittimato ad impugnare la relativa ordinanza, dichiarando il ricorso inammissibile per altro motivo.
Così sinteticamente delineato il quadro degli orientamenti assunti dalla giurisprudenza, si deve osservare che non v’è sostanziale contrasto nell’escludere la possibilità per il procuratore generale che abbia avuto notizia della ammissione alla prova di impugnare la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 464 septies C.p.P. per violazioni di legge o vizi motivazionali che riguardino l’ordinanza di ammissione alla prova; si reputa, in particolare, che la sentenza di cui all’art. 464 septies C.p.P. possa essere impugnata soltanto per motivi «attinenti alla fase del procedimento successiva all’ordinanza di sospensione», ma non per motivi inerenti all’ammissibilità della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, che avrebbero dovuto essere fatti valere impugnando l’ordinanza ai sensi dell’art. 464 quater C.p.P.
Tutte le sentenze esaminate si uniformano, sul punto, all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 33216 del 31/03/2016, che ha escluso la ricorribilità immediata dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione con riferimento all’imputato, rilevando che questi è titolare del ben più ampio potere di rinnovare la richiesta di accesso al rito fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento e, in ogni caso, una volta emessa la sentenza di primo grado, può sempre appellare l’ordinanza congiuntamente alla sentenza, secondo la regola generale fissata dall’art. 586 C.p.P.
Nell’affermare questo principio, le Sezioni Unite hanno chiarito che con la previsione dell’art. 464 quater, comma 7, C.p.P. il legislatore ha consentito l’impugnazione diretta e autonoma del solo provvedimento di accoglimento dell’istanza dell’imputato e che, contro tale provvedimento, il pubblico ministero può proporre ricorso per motivi consentiti dall’art. 606 C.p.P. relativi a violazioni di legge e a vizi di motivazione, può dunque sollecitare il sindacato di legittimità anche sulla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 168 bis C.p. per l’ammissione al beneficio.
Il contrasto sorge, dunque, con riguardo alla possibilità per il procuratore generale di impugnare l’ordinanza ammissiva della prova o a seguito della comunicazione del relativo avviso o unitamente alla sentenza. Possibilità, quest’ultima, che viene sostenuta con riferimento alla specifica ipotesi in cui il procuratore generale non sia stato avvisato dell’ordinanza e ne venga a conoscenza solo con la comunicazione della sentenza.
Si discute, in particolare, se l’espressione «pubblico ministero» contenuta nell’art. 464 quater, comma 7, C.p.P. riguardi anche il procuratore generale presso la corte di appello, come inducono a pensare le pronunce delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 22531, 31/05/2005 e n. 31011 del 28/05/2009) secondo le quali l’espressione «pubblico ministero» è utilizzata dal codice di rito indifferentemente per il procuratore della Repubblica presso il tribunale e per il procuratore generale presso la corte di appello; o se invece, in un’ottica di favore per l’istituto delta messa alla prova che giustificherebbe una selezione dei soggetti titolari del diritto di impugnazione contro l’ordinanza ammissiva, l’espressione «pubblico ministero» contenuta nell’art. 464 quater, comma 7, C.p.P. debba essere interpretata in senso restrittivo con esclusivo riferimento al procuratore della Repubblica presso il tribunale.
Di conseguenza, ci si chiede se l’ordinanza di ammissione alla prova debba essere portata a conoscenza, mediante lettura in udienza o mediante notifica o comunicazione dell’avviso di deposito, oltre che delle parti che hanno diritto all’avviso della data d’udienza, anche del procuratore generale presso la corte di appello. Invero, se il procuratore generale è escluso dal novero dei soggetti titolari del diritto di impugnazione, nessun avviso gli è dovuto e l’ordinanza di ammissione alla prova deve essere comunicata alle parti del procedimento che hanno diritto all’avviso della data dell’udienza. Se, invece, in assenza di limitazioni espresse, il procuratore generale è titolare del diritto di impugnazione, allora egli ha diritto ad essere informato dell’ordinanza ai sensi dell’art. 128 C.p.P., che prevede la comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito dei provvedimenti impugnabili «a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione» (in quest’ultimo senso si sono espressamente pronunciate: Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021; Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019; Sez. 6, n.1603 del 09/11/2021).
Chi aderisce a questa seconda tesi, sostiene che, se il procuratore generale non ha ricevuto l’avviso di deposito dell’ordinanza e quindi non ha potuto impugnarla, può farlo quando apprende della sua esistenza, vale a dire quando riceve la comunicazione della sentenza di cui all’art. 464 septies C.p.P.
In questi casi, l’ordinanza ammissiva della prova può essere impugnata insieme alla sentenza in virtù del fatto che, se l’ordinanza è viziata per violazione di legge, dal suo annullamento «deriva» l’annullamento della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 464 septies C.p.P. (Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019).
Le tesi in contrasto sono supportate entrambe da argomenti di indubbio spessore.
La sentenza Sez. 6, n. 18317 del 09/04/2021 esclude che il procuratore generale possa essere individuato tra i soggetti che hanno diritto all’impugnazione dell’ordinanza con la quale il giudice sospende il processo e ammette l’imputato alla prova sulla base di argomenti sistematici e logico-giuridici.
Osserva che il sistema dei rimedi esperibili avverso le ordinanze che decidono sull’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova «è improntato, sul piano dell’economia processuale, alla finalità di ridurre sensibilmente le ipotesi di regressione del procedimento, se non addirittura di eliminarle del tutto e di garantire il massimo favore all’istituto della sospensione con messa alla prova (Sez. U, n.33216 del 31/03/2016)».
Sostiene che la fase della ammissione alla prova deve essere ricostruita come
un vero e proprio procedimento incidentale dotato di autonomia rispetto all’ordinario processo di cognizione sia con riferimento ai requisiti di ammissibilità (previsti dall’art. 168 bis C.p.), che alla fase del trattamento. Si tratta di «una fase procedimentale alternativa rispetto a quella principale che, in caso positivo, approda ad un esito, la sentenza di cui all’art. 464 septies C.p.P., rispetto alla quale, secondo la giurisprudenza innanzi richiamata, non sono più rilevabili eventuali vizi dell’ordinanza di ammissione, ma solo vizi della fase procedimentale, successiva all’ammissione della prova ed errores in iudicando».
Ricorda che compete al legislatore stabilire non solo «i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e […] il mezzo con cui possono essere impugnati», ma anche i soggetti ai quali è espressamente conferito dalla legge il diritto di impugnazione. Rileva che, proprio in applicazione di tale principio, in alcuni casi, in deroga alla regola prevista dall’art. 570 C.p.P., la legittimazione del procuratore generale presso la corte di appello è stata esclusa.
Dal carattere incidentale del procedimento di messa alla prova (sottolineato anche da Sez. U n. 36272 del 31/03/2016) la sentenza in esame trae argomenti a sostegno della interpretazione restrittiva proposta, che ritiene conforme al principio di tassatività delle impugnazioni.
Sostiene che «la natura autonoma del procedimento incidentale e il descritto sistema di impugnazione […] escludono, altresì, il fondamento del potere di impugnazione del procuratore generale della corte di appello quale organo costituito presso il giudice di merito di livello superiore. Questi, infatti, non ha alcuna competenza nella materia in esame, non essendo istituito «presso il giudice che ha emanato il provvedimento impugnato né presso il giudice avente giurisdizione di merito a livello superiore, dal momento che […] l’ordinanza di sospensione del procedimento per messa alla prova è impugnabile solo con il ricorso per cassazione». Sostiene che, in questo quadro, il riferimento all’art. 570 C.p.P. non possa assumere rilievo.
Di segno opposto le argomentazioni contenute nelle sentenze Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019 e Sez. 1, n. 43293 del 27/10/2021 secondo le quali, in assenza di una previsione espressa, il carattere incidentale del procedimento di messa alla prova non vale ad escludere il procuratore generale dai soggetti legittimati al ricorso. Nel procedimento incidentale cautelare, infatti, il legislatore ha previsto che siano legittimati a ricorrere per cassazione contro le ordinanze cautelari emesse in sede di riesame o di appello, solo il pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura e il pubblico ministero presso il tribunale del riesame e questa espressa previsione era necessaria, nonostante la natura incidentale del procedimento cautelare, proprio perché, salvo che sia espressamente stabilito, quando le disposizioni in materia di impugnazioni menzionano come soggetto legittimato il pubblico ministero, fanno riferimento ad entrambe le figure del procuratore della Repubblica e del procuratore generale presso la corte di appello.
Le sentenze in esame osservano che «se la legge non distingue e non seleziona per il profilo soggettivo uno specifico ufficio del pubblico ministero, il riferimento al pubblico ministero come titolare del potere di impugnazione non può che significare la legittimazione anche del procuratore generale. Vale, infatti, la regola generale dell’art. 570, comma 1, C.p.P. ove, a parte il rinvio ad una previsione di eccezione per l’appello, si stabilisce l’attribuzione concorrente del potere di impugnazione in capo ad entrambi gli uffici del pubblico ministero, per mezzo della specificazione che il procuratore generale può impugnare pur quando il pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento (quindi il procuratore della Repubblica) abbia a sua volta impugnato o, di contro, abbia prestato acquiescenza al provvedimento».
Le sentenze in esame escludono che il pubblico ministero possa, in via generale, impugnare l’ordinanza di sospensione del procedimento ex art. 464 quater C.p.P. congiuntamente alla sentenza di non luogo a procedere, come può fare invece l’imputato per quanto riguarda le ordinanze di rigetto. Osservano infatti che la possibilità di impugnare ordinanze dibattimentali per la prima volta insieme alle sentenze postula che le prime non siano impugnabili in via autonoma come è invece, nel caso del pubblico ministero, per l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Ne desumono però che «l’ordinanza ex art. 464 quater C.p.P., deve essere portata a conoscenza, mediante lettura in udienza o mediante notifica o comunicazione dell’avviso di deposito, non solo alle parti del procedimento che hanno diritto all’avviso della data dell’udienza», ma anche al procuratore generale presso la corte di appello, titolare del potere di impugnazione al pari del procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 570 C.p.P. Per giungere a questa interpretazione, applicano i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite in tema di individuazione del pubblico ministero legittimato all’impugnazione (Sez. U, n. 22531, 31/05/2005 e n. 31011 del 28/05/2009) secondo le quali l’espressione «pubblico ministero» è utilizzata dal codice di rito indifferentemente per il procuratore della Repubblica presso il tribunale e per il procuratore generale presso la corte di appello.
Sottolineano che tali principi non sono mutati a seguito dell’introduzione dell’art. 593 bis C.p.P., che ha lasciato inalterata, per il ricorso in cassazione, la regola secondo la quale il procuratore generale ha il potere di proporre impugnazione contro i provvedimenti emessi, nell’ambito dell’ordinario processo di cognizione, dai giudici del distretto, anche quando il pubblico ministero del circondario abbia già compiuto in merito la sua valutazione positiva o negativa.
Sostengono che il potere di surroga del procuratore generale, in base al quale detto organo è legittimato, in via ordinaria, ad impugnare tutti i provvedimenti potenzialmente definitivi emessi nel giudizio di cognizione, trova il suo fondamento in un complesso normativo, esplicativo del disposto dell’art. 570 C.p.P. – contenuto negli artt. 548, comma 3, 585, comma 2, lett. d), e 608, comma 4, C.p.P. – che precisa le modalità di esercizio del diritto d’impugnazione prescrivendo gli adempimenti necessari a far conoscere al suo titolare i provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice della circoscrizione diverso dalla corte d’appello.
Le sentenze in esame non sottovalutano il dato obiettivo che, in qualche procedimento, la legittimazione del procuratore generale ad impugnare sia esclusa, ma sostengono che non v’è ragione alcuna di inserire tra questi l’art. 464 quater C.p.P. Rilevano che l’espressione «pubblico ministero» utilizzata dal legislatore non è dirimente in tal senso e che le deroghe previste si riferiscono a procedimenti incidentali dotati di autonomia rispetto all’ordinario processo di cognizione, mentre «l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è idonea solo in via eventuale a dare vita ad uno sviluppo procedimentale alternativo rispetto a quello principale di cognizione, dal momento che ne è sempre possibile la revoca con la ripresa dell’ordinario corso del procedimento volto, come tale, all’accertamento dei fatti e della punibilità dell’accusato nonché alla determinazione dell’eventuale trattamento sanzionatorio».
Corte di Cassazione Ord. Sez. 4 n. 15493 Anno 2022