La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la modifica del programma di trattamento redatto dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna da parte del Giudice e senza la condivisione dell’imputato, nell’ambito della sospensione del processo con messa alla prova.
Va premesso che l’art. 168-bis, comma 3, C.p., prevede che la sospensione del procedimento con messa alla prova sia subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, di durata non inferiore a giorni dieci, anche non continuativi, e per non più di otto ore giornaliere, peraltro con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato.
La previsione del lavoro di pubblica utilità rientra dunque nella parte prescrittiva che deve essere formulata sulla base del programma elaborato dall’UEPE unitamente all’imputato, e che deve essere valutata dal Giudice in funzione delle esigenze sia afflittive sia rieducative del trattamento, cui è sottesa una prognosi di non recidiva (v. Cass., Sez. Un., n. 33216 del 28/4/2016).
La disciplina vigente non prevede la durata massima e non prescrive indefettibilmente una determinata scansione giornaliera del lavoro di pubblica utilità, dovendosi aver riguardo alla durata massima della messa alla prova, ma non potendosi direttamente utilizzare il canone di equipollenza dettato dall’art. 54 D.Lgs. 274 del 2000, che disciplina l’applicazione del lavoro sostitutivo, inteso quale pena o comunque quale sanzione di tipo sostitutivo, tale non potendosi considerare la natura e la funzione del lavoro di pubblica utilità, contemplato dal programma nell’ambito della sospensione con messa alla prova.
Sta di fatto che la definizione della durata e dalla scansione della prestazione lavorativa ben possono formare oggetto del programma elaborato dall’UEPE di intesa con l’imputato e di cui il Giudice deve valutare la concreta idoneità, salvaguardando le esigenze lavorative o familiari o di studio dell’imputato.
Va peraltro considerato che il Giudice, impregiudicata la valutazione di inidoneità, ben può integrare o modificare il programma elaborato, con il consenso dell’imputato (ex art. 464-quater, comma 4, C.p.P.).
La valutazione del Giudice anche in ordine alla concreta durata del lavoro di pubblica utilità non potrà che far riferimento ai canoni di cui all’art. 133 C.p., anche alla luce delle
caratteristiche della prestazione lavorativa in rapporto a quelle esigenze dell’imputato di cui si è detto (v. Corte cost. n. 54 del 2017).
In ogni caso il Giudice non può introdurre prescrizioni più gravose, senza il consenso dell’imputato, mentre può integrare indicazioni lacunose sulla base di una penetrante motivazione che dia conto della specifica considerazione dei canoni di cui all’art. 133 C.p. e delle concrete finalità del trattamento in rapporto alle esigenze lavorative o familiari o di studio dell’imputato.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 20114 Anno 2021