Come hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il “provvedimento abnorme“, a seguito della cui emissione il rimedio è il ricorso per cassazione, “è quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale“; (Cass. n. 23072/2021).
In assenza di definizione normativa del concetto di atto abnorme, suscettibile d’autonoma impugnazione, che, per la difficoltà di tipizzazione, anche il legislatore del 1988 ha preferito non disciplinare nel codice di rito, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i confini, la giurisprudenza di legittimità, con plurime decisioni assunte a Sezioni Unite (v. in particolare: Sez. U, n. 17 del 10/12/1997; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005; Sez. U, Sentenza n. 5307 del 20/12/2007; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009) ha individuato la categoria, connotandola, per un verso, in negativo, nel senso che non può definirsi abnorme l’atto che costituisce mera violazione di norme processuali, e, per altro verso, in positivo. Da quest’ultimo punto di vista si è affermato che è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo (cd. strutturale), il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si è posto in luce come sussista abnormità (c.d. funzionale) quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (così, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009). (Cass., n. 7582/2020).
Secondo la giurisprudenza di legittimità “l’abnormità integra, sempre e comunque, uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento“; dunque, “è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, […] l’abnormità può discendere da ragioni di struttura allorché l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero può riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo” (Cass., Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009).
Con riguardo ai rapporti tra giudice e pubblico ministero:
– le ipotesi di “abnormità strutturale” devono limitarsi “al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto)“;
– “l’abnornnità funzionale, riscontrabile […] nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice“. (Cass. n. 23072/2021)