La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la sussistenza del reato di stalking di cui all’art. 612 bis C.p. con riferimento alla condotta di invio di sms e pubblicazione di post canzonatori su una pagina Facebook “pubblica“.
Nel caso di specie l’imputato veniva assolto dal reato di cui all’art. 612 bis C.p., per avere minacciato e molestato la vittima, con messaggi telefonici e sui social network di contenuto ingiurioso e diffamatorio, creando un profilo Facebook “pubblico“, in modo da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita e cagionando un grave stato di ansia e paura.
Ciò posto, la Corte territoriale ha ritenuto provata soltanto la condotta di pubblicazione di post canzonatori su una pagina Facebook, che, però, non erano indirizzati direttamente alla parte civile, come i messaggi privati, ma pubblicati su una pagina “pubblica“, visibile a tutti gli utenti del social network, la cui lettura era dunque rimessa alla scelta individuale; sicchè manca, nella fattispecie, l’invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi “privati“, mediante SMS, Whatsapp, e telefonate, che caratterizza gli atti persecutori rilevanti ai sensi dell’art. 612 bis C.p.
Esclusa la ricorrenza di messaggi minacciosi, la pubblicazione dei post sulla pagina Facebook aperta dall’imputato rispondeva più ad un intento ironico ed irridente, di per sè lecito, in quanto legittimo esercizio di un diritto di critica, sia pur espressa con modalità aspre.
Peraltro, esclusa la riconducibilità delle condotte contestate alla nozione di atti persecutori, manca altresì l’integrazione di uno degli eventi del reato alternativamente previsti dall’art. 612 bis C.p.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “In tema di stalking, la pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta degli atti persecutori di cui all’art. 612 bis C.p., mancando il requisito della invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi “privati” (mediante SMS, Whatsapp, e telefonate), e, se rientra nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, è legittima“.
Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza del 03-12-2020, n. 34512