La causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis C.p., non può trovare applicazione nei reati legati dal vincolo della continuazione, ovvero in tutti i casi in cui ci si “trova di fronte a condotte reiterate che possono ben essere definite abituali“; (cit. Cass., n. 37913 del 2020).
Si segnala l’esistenza di un contrasto in giurisprudenza sulla possibilità di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis C.p.
Occorre evidenziare la qualificazione dei singoli episodi come singole e specifiche ipotesi di reato tra le quali è stato ravvisato il vincolo della continuazione che, secondo alcune decisioni della giurisprudenza di legittimità e, non consentirebbe di ritenere la causa di non punibilità in esame per essersi in presenza di una condotta “abituale” (cfr., Cass. Pen., Sez. V, n. 4852 del 2016; Cass. Pen., Sez. II, n. 1 del 2016; Cass. Pen., Sez. II, n. 28341 del 2017; Cass. Pen., Sez. V, n. 48352 del 2017; Cass. Pen., Sez. I, n. 55450 del 2017; Cass. Pen., Sez. VI, n. 3353 del 2017).
Quest’ultima affermazione, nella sua assolutezza, è certamente discutibile alla luce del più recente e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis C.p. può ben essere ritenuta anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine (cfr., Cass. Pen., Sez. II, n. 41011 del 2018 in cui la Corte ha precisato che occorre soppesare l’incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti, quali gravità del reato, capacità a delinquere, precedenti penali e giudiziari, durata temporale della violazione, numero delle disposizioni di legge violate, effetti della condotta antecedente, contemporanea o susseguente al reato, interessi lesi o perseguiti dal reo e motivazioni – anche indirette – sottese alla condotta; conf., Cass. Pen., Sez. II, n. 9495 del 2018; Cass. Pen., Sez. V, n. 32626 del 2018; Cass. Pen., Sez. IV, n. 4649 del 2018; Cass. Pen., Sez. II, n. 42579 del 2019; Cass. Pen., Sez. IV, n. 10111 del 2019; Cass. Pen., Sez. II, n. 11.591 del 2020).
In altri termini, si è affermato il principio per cui, di per sé solo, il fatto che il reato per il quale si chieda il riconoscimento della causa di non punibilità sia stato posto in continuazione con altri non osta, in astratto, alla operatività dell’istituto dovendosi tuttavia valutare, anche alla luce del suo inserimento in un contesto più articolato, se la condotta in esame sia espressione di una situazione episodica, se la lesione all’interesse tutelato sia comunque minimale e, in definitiva, se il “fatto” nella sua complessità, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità.
Va ricordato che il giudizio sulla tenuità del fatto, quale presupposto per la applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis C.p., richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, (quindi sotto il profilo della oggettività della condotta) C.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (cfr., Cass. SS.UU., n. 13681 del 2016); per altro verso, si è chiarito che, pur dovendosi far riferimento agli indici di cui all’art. 133 C.p., non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione ivi previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr., Cass. Pen., Sez. VI, n. 55107 del 2018) e che è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131 bis ritenuto, in quanto giudicato, evidentemente, decisivo (cfr., Cass. Pen., Sez. III, n. 34151 del 2018).
Da ultimo, si è pure chiarito che la motivazione con la quale si neghi la applicazione della causa di non punibilità può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 C.p., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (cfr., Cass. Pen., Sez. V, n. 15658 del 2018; Cass. Pen., Sez. V, n. 24780 del 2017, in cui la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all’assenza di motivazione in ordine alla causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis C.p., ravvisando nel passaggio della motivazione della sentenza della corte di appello relativo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 1, C.p., che l’appellante chiedeva di escludere, un’implicita esclusione della particolare tenuità del fatto; conf., ancora, Cass. Pen., Sez. III, n. 48317, del 2016); (cit. Cass., n. 37913 del 2020).