Relazione sentimentale durante il matrimonio non veritiera
L’attribuzione “non veritiera” ad uno dei due coniugi di una relazione sentimentale durante il matrimonio integra lesione della reputazione trattandosi di un comportamento riprovevole secondo la communis opinio.
Nel caso di specie la condotta diffamatoria è stata ravvisata nell’avere l’imputato, legale rappresentante dell’agenzia investigativa, inviato all’indirizzo di posta elettronica della committente dell’attività investigativa (coniuge in fase di separazione dal marito), una nota con la quale veniva attribuita al marito una relazione sentimentale con una sua collega, risalente a due anni e mezzo prima, quando era ancora pienamente operante il dovere di fedeltà nascente dal matrimonio.
Ed invero, il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art 595 c.p. è l’onore in senso oggettivo o esterno e cioè la reputazione del soggetto passivo del reato, da intendersi come il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico (Cass., Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016). L’evento del reato si verifica nel momento in cui viene leso il bene della reputazione ed è dunque costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (Cass., Sez. 5, n. 5654 del 19/10/2012). All’uopo è necessario che i termini o le espressioni utilizzate siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto passivo e in tal senso la divulgazione di fatti non veritieri concernenti la vita di quest’ultimo può non determinare automaticamente tale lesione, ben potendo risultare indifferenti per l’integrità della sua reputazione (Cass., Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016).
Alla stregua di tali principi appare, senza dubbio, munita di oggettiva idoneità lesiva della reputazione ed è obiettivamente pregiudizievole della reputazione della persona offesa, l’attribuzione non veritiera di una relazione clandestina, in costanza di matrimonio, ad uno dei coniugi, atteso che integra lesione della reputazione altrui non solo l’attribuzione di un fatto illecito, perché posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione o da patti riconosciuti vincolanti dal diritto civile, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della “communis opinio” (Cass., Sez, 5, n. 18982 del 31/01/2014). Descrivere la persona, oggetto di comunicazione con altri, capace di tradire la fiducia del coniuge, allacciando una relazione sentimentale con un’altra donna, si ritiene costituisca condotta idonea ad esporla al pubblico biasimo e, conseguentemente, a ledere la sua reputazione (arg. ex Sez.5, n. 40359 del 23/09/2008).
Quanto al requisito della “comunicazione con più persone“, occorre rilevare che la Corte abbia più volte affermato il principio, secondo cui l’elemento psicologico della diffamazione consiste, non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase o notizia denigratoria venga a conoscenza di più persone, sicché ai fini della configurabilità del reato, è necessario che l’autore della frase lesiva dell’altrui reputazione comunichi con almeno due persone, ovvero con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri ed agisca rappresentandosi e volendo tale evento (cfr. Cass., Sez. 5, n. 34178 del 10/02/2015; Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010; Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016).
Nel caso di specie la notizia del comportamento riprovevole della relazione sentimentale del marito, oggetto della relazione investigativa, è stata comunicata dall’imputato esclusivamente alla committente dell’attività investigativa, la quale, a sua volta, avrebbe prodotto la relazione in questione nel giudizio di separazione tra i coniugi così determinando la conoscenza da parte di terzi della notizia non veritiera riferita dall’imputato stesso.
Tenuto conto del contesto di sviluppo della vicenda in esame occorre effettuare una premessa relativa alla ricorrenza dell’elemento psicologico nel delitto di diffamazione. Quando il mezzo utilizzato per la comunicazione con più persone dia già in sé conto della destinazione a più persone (come, ad esempio, nel caso di una e-mail trasmessa contemporaneamente a più soggetti), è agevole ricavare dalla materialità della condotta la volontà del denigrante. Analoga conclusione deve effettuarsi quando l’autore della frase lesiva dell’altrui reputazione comunichi con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia verrà sicuramente a conoscenza di altri, o comunque con modalità che lascino ragionevolmente ipotizzare che ciò avvenga. In tal caso, ad esempio, il requisito soggettivo è stato ricavato quando l’espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone, come nel caso di un vaglia postale (cfr. Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016), o di un telefax indirizzato ad un soggetto, ma trasmesso ad un numero di fax di un ufficio al quale hanno accesso plurime persone, poiché le caratteristiche e la natura del mezzo prescelto implicano la conoscenza o la conoscibilità del contenuto della comunicazione da parte di un numero indeterminato di soggetti.
Senz’altro diverso è il caso, come quello in esame, in cui l’autore della frase lesiva dell’altrui reputazione comunichi direttamente con una persona e, in via mediata, attraverso quest’ultima, la notizia diffamatoria venga a conoscenza di altre persone. In tal caso l’indagine sull’elemento psicologico dell’agente diventa essenziale, dovendosi ricondurre appunto alla volontà del denigrante l’evento della conoscenza da parte di più persone della notizia diffamatoria.
Nel caso di specie l’imputato, legale rappresentante dell’agenzia investigativa, nella nota indirizzata alla moglie, committente dell’attività investigativa, non avrebbe espressamente manifestato la volontà che il contenuto della lettera venisse divulgato ad altri, sicché tale nota potrebbe astrattamente essere assimilata ad una comunicazione confidenziale (caratteristica questa che ha già portato questa Corte a ritenere che «il requisito della comunicazione con più persone, atto ad integrare il delitto di diffamazione non sussiste nel caso di comunicazione confidenziale la cui diffusione sia esclusivamente opera del destinatario della confidenza, in quanto difetta l’esplicita volontà del soggetto attivo di destinare alla divulgazione il contenuto della comunicazione» Sez. 5, n. 40137 del 24/04/2015).
Nella sentenza impugnata non risultano enunciati elementi dai quali desumere che l’imputato, legale rappresentante dell’agenzia investigativa, fosse a conoscenza del fatto che la moglie aveva commissionato l’attività investigativa proprio in funzione del giudizio di separazione, con il fine appunto di produrre gli esiti di essa in giudizio, utilizzandoli a proprio vantaggio e mettendoli a conoscenza di terze persone.
Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 25 novembre 2020, n. 33106