La revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità comporta il ripristino dell’originaria pena inflitta al condannato, ma non in toto, in quanto il periodo di effettivo svolgimento della prestazione del lavoro sostitutivo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, costituisce a tutti gli effetti pena detentiva espiata, dando vita ad una operazione di sottrazione. Tale presupposto trova conferma nella disposizione contenuta nell’art. 58 D.Lgs. 28 Agosto 2000, n.274, laddove, al primo comma, afferma che “Per ogni effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria”.
La fattispecie sottoposta all’esame della Corte di Cassazione concerne la questione inerente la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità disposta dal giudice dell’esecuzione e la conseguente mancata determinazione del residuo trattamento sanzionatorio da espiare a seguito della revoca stessa. Ovvero il giudice dell’esecuzione, a seguito della comunicazione del Pubblico Ministero in merito ad una serie di violazioni del condannato, ha ripristinato l’originaria pena inflitta allo stesso senza considerare il periodo in cui la prestazione del lavoro sostitutivo è stata effettivamente svolta e risulta certificata.
Deve essere richiamato, in proposito, il principio di diritto, pienamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività, mediante i criteri di ragguaglio dettati dall’art. 58 D.Lgs. 28 Agosto 2000, n.274. Fattispecie di guida in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti, in cui la Corte ha osservato che la limitazione della libertà personale subita da chi abbia espletato attività lavorativa nell’interesse della collettività costituisce sanzione detentiva espiata e non, invece, misura alternativa alla carcerazione secondo la disciplina dettata per gli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario“. (Cass., Sez. 1, n. 32416 del 31/03/2016).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 27716 Anno 2020