I criteri previsti dall’ordinamento ai fini della liquidazione del risarcimento del danno da violazione del diritto d’autore, sono determinati con riferimento all’an debeatur e al quantum debeatur.
L’art. 158, Legge 633/1941 sul diritto d’autore pone le seguenti regole speciali:
a) il risarcimento del danno è liquidato nel rispetto degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.: la disposizione è pleonastica, servendo solo a manifestare espressamente l’esigenza del rispetto delle regole comuni di liquidazione del danno, quanto a nesso causale, potere di liquidazione equitativa ed, ancora in tema di nesso causale, concorso del fatto dello stesso debitore;
b) il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056, comma 2, c.c., ossia «con equo apprezzamento delle circostanze del caso», dunque ancora una volta ex art. 1226 c.c., cui si aggiunge però l’indicazione dei parametri espliciti, relativi agli «utili realizzati in violazione del diritto» ed alla liquidazione «in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto»;
c) sono dovuti anche i danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. Ne deriva che il nucleo precettivo della disposizione sta soprattutto nel punto b).
La norma prevede il duplice criterio della c.d. retroversione degli utili conseguiti e del c.d. prezzo del consenso, sempre nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. La legge non esprime un precetto rigido di preferenza per i due criteri suggeriti; sebbene l’espressione utilizzata («quanto meno») lasci, in verità, intendere che quello del c.d. prezzo del consenso costituisce l’indicativa liquidazione di una soglia solo minima della liquidazione. I due criteri, dunque, si pongono come cerchi concentrici, avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una liquidazione c.d. minimale, mentre il primo, dall’intrinseco significato anche sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale “costo” riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente implementati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato.
Il primo criterio della c.d. retroversione, o reversione, degli utili, non estraneo ad altri settori dell’ordinamento (cfr. art. 125 d.lgs. n. 30 del 2005, ove peraltro è diversamente configurato con tratti speciali; art. 2391, ultimo comma, c.c., laddove pone a carico dell’amministratore in conflitto di interessi i danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di «opportunità di affari» appresi nell’esercizio del suo incarico), consiste nell’uso, in sede di liquidazione giudiziale del danno, del parametro dei profitti che l’autore della violazione al diritto d’autore abbia conseguito, come immediata e diretta conseguenza dello sfruttamento economico dell’opera dell’ingegno altrui. Esso non era ignoto al diritto vivente in epoca anteriore al d.lgs. n. 30 del 2005 e al d.lgs. n. 140 del 2006, quando si era affermato il principio che valesse considerare, in tema di valutazione del danno subìto dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, il beneficio tratto dall’attività vietata (Cass. 10 marzo 2016, n. 4048, che richiama a sua volta i precedenti di Cass. n. 6251 del 1983; Cass. n. 3390 del 2003; Cass. n. 8730 del 2011, nonché Cass. n. 12433 del 2008, Cass. n. 11353 del 2010).
La ratio della norma indica che il profitto conseguito dal danneggiante è un indice presuntivo delle potenzialità di sfruttamento dell’opera sottratte all’autore e del cui depauperamento questi deve essere ristorato. Pertanto, nella liquidazione del danno ex art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore, il lucro cessante va valutato – come espressamente previsto dalla norma – ai sensi dell’art. 2056, comma 2, c.c., anche tenuto conto degli utili illegittimamente realizzati: il c.d. criterio della retroversione degli utili costituisce, quindi, uno dei parametri che il giudice del merito utilizza nella liquidazione del danno, che rimane equitativa.
Nel contempo, la norma esprime la necessità di calcolare i soli profitti che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, come si desume dall’espresso richiamo all’art. 1223 c.c., contenuto in esordio dell’art. 158, comma 2, Legge 633/1941 sul diritto d’autore. È il principio dei “fattori di moderazione” dei profitti restituibili calcolati secondo il criterio della retroversione degli utili, riguardato in funzione risarcitoria ai sensi dell’art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore, il quale richiede di “disaggregare” i ricavi conseguiti dall’autore dell’illecito, al fine di separare, al loro interno, sia i costi sostenuti, sia la frazione di utile derivante da fattori estranei.
La Corte di legittimità, al riguardo, ha già osservato che il giudice può utilizzare il metodo del beneficio ritratto dall’attività vietata «assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante», perché «correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo», pur sempre «nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto» (Cass. 29 maggio 2015, n. 11225). Onde è vero che va applicato il più vasto criterio della determinazione del danno, tenuto conto della lesione alle potenzialità di sfruttamento dell’opera che sarebbe potuto avvenire ed, in particolare, dei proventi che la stessa avrebbe prodotto, se sfruttata e diffusa dai suoi autori legittimi: e, tuttavia, occorre appunto individuare, con la migliore approssimazione possibile, tali proventi, in quanto il principio della retroversione degli utili è un mero strumento per pervenire alla determinazione equitativa del danno, non per attribuire in modo acritico e matematico tutti i proventi riscossi. Ai sensi dell’art. 158, comma 2, Legge 633/1941 sul diritto d’autore, invero, la considerazione degli utili realizzati in violazione del diritto deve fermarsi al limite dato, il quale è costituito dalla percentuale dei guadagni eziologicamente derivata dall’operata contraffazione. Si tratta, cioè, di depurare il totale dei proventi riscossi, tenendo conto, da un lato, dei costi sopportati direttamente ricollegati allo sfruttamento illecito e, dall’altro lato, dei proventi esclusivamente dipendenti, in realtà, dall’autonomo contributo del plagiario. Si ricorda come, in particolare, sotto il secondo profilo, la necessità di depurare dal totale dei proventi riscossi quelli dipendenti dai fattori riconducibili al contributo reso dall’autore dell’illecito è già stata evidenziata dalla Corte di legittimità (Cass. 3 giugno 2015, n. 11464), condivisibilmente sottolineandosi, nel confermare ivi l’opinamento del giudice del merito, che il danno patito non può essere rapportato all’intero utile percepito, ma i proventi debbano essere depurati dalla quota percentuale dipendente da fattori riconducibili allo stesso utilizzatore terzo, per evitare di determinare, nel giudizio equitativo, un’attribuzione patrimoniale eccedente la correlazione causale con la ritenuta responsabilità. Non sarebbe correttamente determinato, così, il quantum risarcitorio ex art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore, laddove fossero automaticamente attribuiti e riversati in favore del soggetto leso tutti i ricavi conseguiti, e ciò sotto un duplice profilo: perché dai ricavi devono essere detratti i costi, al fine di individuare ciò che costituisca il profitto o guadagno; perché dai ricavi va scomputato quanto non sia attribuibile tanto al valore dell’opera plagiata in sé, quanto, invece, alla autonoma capacità dei soggetti responsabili del plagio di condurla al successo, la quale non è un frutto dell’illecito. Una liquidazione che, al contrario, non tenesse conto di tali elementi violerebbe il disposto dell’art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore, il quale mira ad attribuire unicuique suum, non ad arricchire chi, per sorte, si trovi ad aver subìto un plagio; fermo restando che, sotto il profilo del danno morale d’autore, esso sarà autonomamente risarcito, indipendentemente dall’esistenza e dall’entità di un danno patrimoniale da sfruttamento dell’altrui opera dell’ingegno. Occorre, dunque, ribadire come quello della retroversione degli utili in tema di diritto d’autore – che è criterio indubbiamente più favorevole al danneggiato, in quanto costituente il cerchio di maggior raggio nel risarcimento del danno – resti nondimeno criterio ancorato alla regola della necessaria derivazione causale ex art. 1223 c.c. dal fatto illecito: ciò vuol dire che la somma, così come accertata quale ricavo per le vendite dell’opera realizzato dal responsabile, deve essere depurata, da un lato, dei costi sopportati dal medesimo ai fini di quelle vendite, e, dall’altro lato, dell’autonomo contributo al successo dell’opera, così come realizzata e diffusa sul mercato dall’autore o dagli autori dell’illecito, per quanto tale successo dipenda dal lancio, propiziato dalla notorietà dell’interprete e dalle concrete capacità esecutive ed evocative del medesimo, tali da suscitare l’interesse del pubblico.
In entrambi i casi, sono accertamenti e valutazioni in fatto, rimessi al prudente apprezzamento del giudice del merito, che devono, però, agganciarsi a criteri quanto più oggettivi ed alle prove offerte dalle parti.
Quanto ai costi occorre, in particolare, che l’autore del plagio fornisca elementi concreti di calcolo, quali i bilanci, le scritture contabili, i contratti conclusi con i terzi, quali agenzie pubblicitarie e canali di comunicazione, ed ogni altro elemento utile allo scopo. La quantificazione dell’importo, da detrarre a titolo di costi sostenuti, deve fondarsi su documenti e prove, il cui onere di produzione e deduzione grava in definitiva sui danneggianti, con l’ausilio, ove occorra, degli accertamenti disposti d’ufficio mediante idonea c.t.u., la quale dia conto dell’incidenza media dei costi sui ricavi nel settore di mercato considerato. È vero, infatti, che l’onere di provare il danno sofferto, secondo la fattispecie dell’art. 2043 c.c. – di cui l’art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore costituisce speciale espressione – grava sulla parte che agisce per il riconoscimento del suo diritto, ai sensi dell’art. 2697 c.c.; peraltro, posto che l’art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore indica espressamente il parametro, su cui fondare la liquidazione equitativa del danno, consistente negli utili conseguiti dal responsabile dell’illecito grazie all’utilizzo indebito dell’opera altrui, sarà possibile individuare nel modo meglio approssimato possibile il profitto conseguito – e, dunque, l’importo da traslare – mediante la produzione di bilanci e scritture contabili, offerti dai danneggianti secondo il principio della vicinanza della prova, o mediante l’espletamento di idonea c.t.u. Resta fermo, secondo i principi consolidati, che l’inosservanza dell’ordine di esibizione di documenti, la cui produzione sia stata ordinata dal giudice ai danneggianti ai sensi dell’art. 210 c.p.c., integra un comportamento dal quale si può, nell’esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c.
Quanto al profilo dell’autonomo contributo al successo dell’opera, è necessario accertarlo ad opera del giudice del merito, anche con la prova presuntiva, tenendo conto di indicatori quanto più obiettivi: come le vendite realizzate dal responsabile entro un periodo di tempo che possa reputarsi “significativo” e sufficientemente esteso, se del caso pure valutando il successo conseguito con altre opere, e ciò in comparazione con quello dello stesso autore dell’opera plagiata, nel medesimo lasso temporale considerato, sia pure sfalsato nel tempo l’uno dall’altro. Dal raffronto di tali e di altri elementi sarà possibile calcolare la percentuale da sottrarre perché, in via di prova presuntiva, riconducibile non all’opera in sé, ma al pregio ed al valore della rielaborazione ed interpretazione del secondo esecutore.
L’altro criterio esposto dall’art. 158 Legge 633/1941 sul diritto d’autore richiama, del pari, la valutazione equitativa del danno («in via forfetaria»), offrendo un’indicazione minimale sul quantum da liquidare («quanto meno») secondo il metro del prezzo per la cessione dei diritti di utilizzazione economica di quell’opera. Tale criterio va inteso come individuazione, pur sempre in via di prognosi postuma, del presumibile valore sul mercato del diritto d’autore de quo, nel tempo della operata violazione. Si tratta di una valutazione media ed ipotetica, che esperti del settore potranno operare, sempre tenuto conto dei prezzi nel settore specifico, dell’intrinseco pregio dell’opera, dei guadagni dalla medesima conseguiti nel periodo di legittima utilizzazione da parte dell’autore medesimo per il tempo in cui ciò sia avvenuto, e di ogni altro elemento del caso concreto.
Corte di Cassazione civile, ordinanza, Sez. I, 29/07/2021, n. 21833