Selfie pornografici: diffusione a terzi

Selfie pornografici Natura del reato Esito positivo della prova Pensione di reversibilità durata della sanzione amministrativa della sospensione Violenza sessuale Accesso all'istituto della messa alla prova Programma di Trattamento Decreto di citazione a giudizio Durata del lavoro Revisione dell'assegno di divorzio Sospensione della patente di guida e confisca Prognosi favorevole Interpretazione del contratto Revoca della sanzione sostitutiva sostitutiva Irrilevanza Pronuncia di addebito Integrazione o modificazione del programma di trattamento Oblazione Quantificazione della sanzione amministrativa accessoria Verità della notizia Competenza territoriale Lavoro di pubblica utilità Esimente del diritto di satira Critica Sentenza di non doversi procedere Revoca della pena sostitutiva del lavoro di Tradimento e risarcimento del danno Contraffazione Contraffazione grossolana Danno cagionato da cosa in custodia Diniego dell'applicazione dell'istituto della messa alla prova Programma di trattamento e Pubblicazione di foto Trasferimento del lavoratore subordinato Modifica del programma Trasferimento del lavoratore contratto preliminare ad effetti anticipati Espressioni denigratorie Revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento Impugnazione avverso la sentenza di estinzione del reato Incapacità naturale Messa Medico del lavoro Abbandono della casa coniugale Messa alla prova presentata nel giudizio di secondo grado Spese a carico dell'usufruttuario L'ordinanza Pettegolezzo Sospensione della prescrizione Addebito della separazione La caparra confirmatoria Iscrizione di ipoteca Assegno divorzile Rimessione in termini Diritto di satira Programma di trattamento Prestazione di attività non retribuita Diritto di cronaca giudiziaria Circostanze aggravanti Diritto morale d'autore Reato di diffamazione tramite la rete internet Decreto penale di condanna e Impugnazione dell'ordinanza di rigetto Giudizio abbreviato e sospensione del procedimento per messa alla prova tollerabilità delle immissioni Vizi della cosa locata Diffamazione Diffamazione tramite la rete Internet Preliminare di vendita Casellario giudiziale Rilascio dell'immobile locato lavori di straordinaria amministrazione Garanzia per i vizi revoca della sanzione sostitutiva Paternità dell'opera Esimente della verità putativa Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale Diritto di cronaca Sincronizzazione Animali da compagnia Traduzione Obbligazione naturale Modifica del programma di trattamento Format di un programma televisivo Plagio Giurisdizione Relazione investigativa Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte Detenzione del bene Discriminazione direttaLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento affronta al questione inerente la corretta interpretazione dell’art. 600-ter C.p., comma 4, in rapporto all’art. 600-ter C.p., comma 1, (Pornografia minorile) in relazione alla condotta di chi entri abusivamente nella disponibilità di foto, selfie pornografici autoprodotti dal minore e presenti nel suo telefono cellulare, ne effettui la riproduzione fotografica e le offra o le ceda successivamente a terzi senza autorizzazione.

Ne caso di specie l’imputato aveva fotografato dal telefono della persona offesa, all’insaputa di questa, una serie di selfie pornografici (autoprodotti). Tali immagini erano state poi divulgate (rectius: cedute) ad alcuni amici, i quali a loro volta, li avevano divulgate, mediante whatsapp o altre chat, ad una serie indeterminata di utenti.

La norma, relativa alla pornografia minorile, punisce al comma 1 chiunque, utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico (prima ipotesi) e chiunque recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto (seconda ipotesi). Il comma 4 punisce “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto…

Tale formulazione introdotta nel 1998 è stata frutto di plurimi interventi legislativi. Sono stati poi aggiunti due commi alla norma, il sesto che punisce chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto, ed il settimo che contiene la definizione di pornografia minorile come ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.

Il caso in esame è emblematico dell’assenza di una stabilizzazione delle interpretazioni in materia. Il punto di partenza del ragionamento è costituito dalla sentenza della giurisprudenza di legittimità n. 11675 del 18/02/2016, secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto dell’art. 600-ter C.p., è necessario che il produttore del materiale sia persona diversa dal minore raffigurato, in quanto, nel diverso caso dell’autoproduzione difetterebbe l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo. Il caso scrutinato era stato quello della cessione da parte di terzi del materiale pedopornografico autoprodotto dalla minore e da questa volontariamente ceduto ad altri che l’avevano ulteriormente ceduto. Nella decisione si è affermato che il percorso argomentativo “impone, quale presupposto logico prima ancora che giuridico, che l’autore della condotta sia soggetto altro e diverso rispetto al minore da lui utilizzato, indipendentemente dal fine, di lucro o meno, che lo anima e dall’eventuale consenso, del tutto irrilevante, che il minore stesso possa aver prestato all’altrui produzione del materiale o realizzazione degli spettacoli pornografici; alterità e diversità che, quindi, non potranno ravvisarsi qualora il materiale medesimo sia realizzato dallo stesso minore, in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto, ostando a ciò la lettera e la ratio della disposizione come richiamata,…“.

Nello sviluppo della motivazione, si è sostenuto che tale soluzione era valida anche per il comma 4, a) per motivi letterali, stante il rinvio del secondo, terzo e comma 4 al materiale pornografico prodotto come indicato dal comma 1; b) per motivi sistematici, perché l’art. 602-ter C.p., nel disciplinare le circostanze aggravanti relative ai delitti contro la personalità individuale ribadivano e presupponevano la necessaria alterità tra l’autore del reato e la persona offesa; c) per motivi teleologici, perché la ratio che permeava di sé tutto il testo dell’art. 600-ter C.p., compreso il comma 4, presupponeva che la condotta di cessione del materiale pornografico, pur se a titolo gratuito, avesse quale necessario presupposto l’utilizzazione del minore da parte di un terzo: “Il minore, quindi, quale persona offesa da tutelare perché utilizzato; con la conseguente punizione di chi inserisce quel materiale in un qualsivoglia circuito che lo veicoli a terzi, fosse anche una mera cessione a titolo gratuito“. Tale impostazione è stato ribadita, l’anno successivo, con la sentenza n. 34357 del 11/04/2017.

La decisione risente dell’impostazione del problema da parte delle Sezioni Unite con sentenza n. 13 del 31/05/2000. Ai fini di una migliore comprensione della questione, va ricordato che le Sezioni Unite del 2000, chiamate non a dirimere un contrasto tra le Sezioni semplici, bensì a pronunciarsi su una questione nuova e di particolare importanza, siccome il reato era stato introdotto solo nel 1998, avevano focalizzato la loro attenzione, da una parte, sul senso del termine “sfruttare“, da intendersi nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata, dall’altra, sulla necessità che questo sfruttamento mirasse alla diffusione del materiale pornografico prodotto, donde la necessità di accertare l’esistenza di un pericolo concreto.

La decisione del 2016 non ha trovato riscontri unanimi in dottrina. Se da un lato è stata apprezzata l’interpretazione restrittiva in scrupolosa aderenza al testo letterale, dall’altro è stata lamentata l’assenza di una riflessione approfondita sulla rilevanza del consenso del minore nella produzione e successiva divulgazione del materiale pornografico ed è stato evidenziato il vuoto di tutela del sexting, neologismo inglese coniato a metà degli anni 2000, che individua la pratica di diffusione, attraverso dispositivi elettronici, principalmente il cellulare, di testi e/o immagini sessualmente espliciti.

È stato più in dettaglio osservato che il sexting determina, rispetto alla produzione “tradizionale” della pedopornografia, un’inversione della strumentalizzazione del minore, che si sposta dal momento della produzione al momento della diffusione, con la conseguenza che l’interprete non deve valutare se il minore sia stato o meno utilizzato, ma deve concentrarsi sulle caratteristiche delle immagini e sulla tipicità delle condotte che assumono significato criminoso in sé, senza indagare sull’origine dell’immagine.

Se la ratio della norma è quella di garantire una tutela omnicomprensiva del minore, attraverso l’incriminazione di qualsiasi condotta connessa alle immagini pedopornografiche, si deve prendere atto che le condotte disciplinate dai commi successivi al primo sono temporalmente e materialmente distanti dal primo fatto di utilizzazione e non presuppongono necessariamente l’accertamento dell’alterità.

Ritornando al caso in esame in materia di selfie pornografici autoprodotti e alla luce di tali argomentazioni è necessario sottolineare il Giudice dell’udienza preliminare ha assolto l’imputato dal reato contestato perché il fatto non sussiste, giacché “un conto è produrre materiale pedopornografico, altro conto è duplicare, mediante copiatura, il materiale pedopornografico già prodotto. D’altro canto qualora si pretendesse di far rientrare anche l’attività di duplicazione mediante copiatura nella nozione di produzione, si finirebbe con l’avallare un’applicazione in malam partem della norma incriminatrice, notoriamente non consentita“. La Corte d’Appello ha pronunciato la sentenza di condanna, affermando, invece, che “La peculiarità del caso in esame è rappresentata dal fatto che la produzione del materiale pedopornografico è stata, originariamente, opera dello stesso soggetto minore, ma poi successivamente la raffigurazione pornografica, illecitamente carpita, risulta a sua volta fotografata da un terzo e poi divulgata da altri“. Ha infatti ritenuto che la foto della foto realizzata con autoscatto rientrava a pieno titolo nel concetto di materiale pedopornografico di cui al comma 1 dell’art. 600- ter C.p.

Ed invero, mentre va ribadito il principio di diritto della necessaria alterità tra l’agente autore di una delle varie condotte del comma 1 ed il minore, con la precisazione però che, nell’ultima condotta della seconda ipotesi dello stesso comma 1, ben è possibile che l’agente tragga altrimenti profitto dagli spettacoli pornografici autoprodotti dal minore, non è possibile spingere oltre tale interpretazione ritenendo che tutta la norma sia informata alla nozione di materiale pornografico del comma 1 inteso nella sua interezza.
Dal punto di vista letterale, tale interpretazione non tiene conto del fatto che, all’epoca della scrittura del secondo, terzo e comma 4, mancava nell’articolo la nozione di pornografia minorile introdotta nel 2012 e vi era l’esigenza di tecnica redazionale di individuare agevolmente l’oggetto delle relative condotte.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 600- ter C.p., mentre in alcune limitate ipotesi è richiesta la eteroproduzione del materiale pedopornografico, in altre no. E non vi è nessun ragionevole motivo per escludere la tutela di tutte quelle condotte, specificamente descritte dal legislatore, che ledano la dignità del minore e ne impediscano il suo armonioso sviluppo morale. Ne consegue che i commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico.

Ai fini dell’incriminazione e, quindi, del fatto tipizzato nel comma 4 dell’art. 600-ter C.p., non rileva la modalità della produzione, auto o eteroproduzione. Tale approdo è confermato dall’inserimento nell’art. 600-ter del comma 7, che ha introdotto la nozione di pornografia minorile a beneficio di tutte le fattispecie contemplate dalla norma.
Per la configurabilità del delitto di cui all’art. 600-ter C.p., comma 4, relativo all’offerta o cessione ad altri di materiale pedopornografico ossia di materiale raffigurante la pornografia minorile secondo la nozione data dall’art. 600-ter C.p., comma 7, è necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica.

Tale interpretazione non integra un’applicazione in malam partem dell’art. 600-ter C.p., infatti aderisce alla lettera della norma, giacché il riferimento al “comma 1” risponde all’esigenza di chiarire la nozione di materiale pornografico che è ormai definita dall’ultimo comma, mentre il requisito dell’eteroproduzione non è determinante in talune delle condotte delittuose; è rispettosa del sistema, poiché gli stessi lavori preparatori della legge sono indicativi della volontà di evitare vuoti di tutela; è in linea con la ratio della norma, siccome la tutela della dignità personale del minore è da intendersi nel senso più ampio possibile sia a livello della normativa nazionale che sovranazionale.

Con l’annullamento della sentenza impugnata la Corte di legittimità, capovolge l’orientamento espresso nelle sentenze del 2016 e 2017, che non poteva considerarsi consolidato, e afferma che è configurabile il reato ex art. 600-ter C.p. comma 4, (Pornografia minorile), in relazione alla condotta di chi entri abusivamente nella disponibilità di foto, selfie pornografici autoprodotti dal minore, ne effettui la riproduzione fotografica e le offra o le ceda successivamente a terzi senza autorizzazione.

Corte di Cassazione sentenza 12 Febbraio 2020, n.5522

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