Il sindacato sulle modalità di svolgimento della messa alla prova è sottratto al giudizio di legittimità, in relazione alle prescrizioni stabilite dal programma concordato con l’UEPE, a cui spetta anche la relativa verifica.
L’art.168 bis C.p. comma 2 recita che “la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al Servizio Sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria…“.
Prevede l’art.168 bis comma 3 C.p. che il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, a favore dello Stato, le regioni, le provincie i comuni, le aziende sanitarie o pressi enti o organizzazioni, anche internazionali che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.
Sotto diverso profilo deve evidenziarsi che il sindacato sulle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità, proprio perché espressione di una sequenza procedimentale che si svolge attraverso la predisposizione di un programma stilato, in accordo con il richiedente, da una specifica articolazione pubblica (UEPE) e che risulta sottoposto alla verifica di ammissibilità dell’ufficio giudiziario che dispone la messa alla prova previa
l’assunzione del parere del PM (parere positivo), deve ritenersi sottratto al giudice di legittimità attenendo appunto ad una specifica fase esecutiva rimessa alla verifica della suddetta articolazione che esprime un giudizio sull’esito complessivo della messa alla prova.
Invero da un lato l’ufficio della Procura è legittimato a proporre impugnazione, anche su sollecitazione della persona offesa, mediante ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza che decide sulla istanza di messa alla prova ai sensi dell’art.464 quater C.p.P., cosicchè deve ritenersi inammissibile il ricorso in cassazione del pubblico ministero contro la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, quando denunci vizi afferenti il provvedimento di sospensione del processo, di cui all’art. 464-quater C.p.P., che avrebbero potuto essere fatti valere contro quest’ultimo (Cass., sez.5, n.5093 del 14 Gennaio 2020); dall’altro non può ritenersi consentita la impugnazione in sede di legittimità allorquando le censure della procura si appuntino sul corretto adempimento degli impegni lavorativi e delle prescrizioni assunte dall’onerato in contrasto a quanto evidenziato dalla UEPE nella sua relazione conclusiva, laddove tali censure finiscono per investire la stessa legittimità del programma di trattamento e la sua utilità sociale in una prospettiva riparatoria e, al contempo, sostitutiva della sanzione penale.
Invero in tema di messa alla prova, il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato può riguardare esclusivamente censure attinenti alla “fase del procedimento successiva all’ordinanza di sospensione, di natura processuale, ovvero “errores in iudicando”, anche sotto il profilo dell’illogicità della motivazione, mentre non può sindacare l’ammissibilità della richiesta di accesso al rito speciale, essendo tale profilo precluso dall’avvenuta decorrenza del termine entro cui deve essere proposta l’impugnazione avverso l’ordinanza di cui all’art. 464-quater, commi 3 e 7, C.p.P.” (Cass., sez. 6, n.21046 del 10 Giugno 2020).
Corte di Cassazione Sez. 4 n. 15163 Anno 2022