La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il possibile concorso tra il delitto di trattamento illecito di dati personali ex art. 167 (D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 – Codice della privacy), e il delitto di diffamazione di cui all’art. art. 595 C.p.
Nel caso di specie l’imputato aveva pubblicato e diffuso tramite la rete Internet alcuni video intimi della ex fidanzata, al solo scopo di vendetta e di ritorsione a seguito della fine della loro relazione sentimentale.
Il rilievo, formulato dalla difesa dell’imputato attiene all’inconfigurabilità del concorso tra il delitto di diffamazione e il delitto di trattamento illecito di dati personali in ragione dell’esistenza della clausola di sussidiarietà inserita nell’incipit della norma di cui al all’art. 167 del Decreto Legislativo n. 196 del 2003.
Ma secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità la censura non tiene conto del principio di diritto secondo il quale, in presenza della clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato“, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico (Cass., Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015; Cass., Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013).
Interesse giuridico protetto che, nelle fattispecie di cui all’articolo 595 C.p. e Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167 (come aggiornato dal Decreto Legislativo n. 101 del 2018), non è affatto sovrapponibile: nel delitto di diffamazione il bene giuridico si identifica, infatti, nella reputazione, che coincide con la considerazione, in relazione al sentire del momento storico, di cui la persona gode nell’ambiente sociale ed attiene, quindi, all’aspetto esteriore dell’individuo, che ha diritto a godere, appunto, di un certo riconoscimento sociale; nel delitto di trattamento illecito di dati personali, il bene giuridico si identifica, invece, nella riservatezza, che coincide con il diritto dell’individuo a preservare la propria sfera personale dalle attenzioni di quanti non abbiano titolo per ingerirsi in essa ed attiene, quindi, all’aspetto interiore dell’individuo, che ha diritto a proteggersi dalle indiscrezioni altrui.
Osservazione, questa, che consente, peraltro, di negare la sovrapponibilità, dal punto di vista materiale, del pregiudizio scaturente dalla diffamazione, coincidente, nel caso concreto, con la divulgazione di un’immagine falsa della persona offesa, … al “nocumento” quale conseguenza dell’illecito trattamento di dati personali (Cass., Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017; Cass., Sez. 3, n. 15221 del 23/11/2016; Cass., Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015), coincidente, nell’ipotesi al vaglio, con il detrimento subito dalla vittima nel vedere “esposti” sul “web” comportamenti attinenti alla sua più stretta intimità.
Da escludersi recisamente, infine, una coincidenza tra le due fattispecie evocate dal punto di vista strutturale, così da consentire, in forza dell’articolo 15 C.p., l’applicazione di quella soltanto, tra le due, che sia connotata in termini di specialità: la condotta di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167 non esige, infatti, necessariamente, a differenza dell’articolo 595 C.p. la comunicazione con più persone e si riferisce esclusivamente a dati sensibili, diversamente da quanto previsto in tema di diffamazione, che può ricadere su qualunque informazione sul conto della persona; inoltre è connotata dal dolo specifico di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, diversamente dalla condotta di diffamazione che è animata dal solo dolo generico di divulgare notizie atte a compromettere la reputazione dell’interessato stesso.
Cassazione, Sez. Terza penale, sent. 10 Luglio 2019, n. 30455