La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente, nell’ambito della procedura di sospensione del processo per messa alla prova, la valutazione sulla capacità a delinquere e la prognosi negativa sul pericolo di reiterazione dei reati a carico dell’imputato richiedente.
Nel caso di specie il giudice di prime cure, pur procedendo pe un reato compreso per i limiti edittali tra quelli per i quali l’art. 168-bis C.p. consente la sospensione del procedimento con messa alla prova, ha respinto la richiesta dell’imputato senza esprimere alcuna valutazione sulla idoneità del programma di trattamento, ma ritenendo pregiudiziale la valutazione negativa sulla prognosi rispetto al pericolo della commissione di nuovi reati. La Corte di appello ha ribadito lo stesso giudizio negativo ritenendo che i precedenti penali a carico dell’imputato fossero di per sé già significativi della capacità a delinquere dell’imputato, tali per la loro gravità da fare ritenere impossibile una prognosi favorevole, senza necessità di valutare anche il programma di trattamento presentato.
Secondo la linea difensiva e con riferimento alla rilevanza dei precedenti penali, si deve rilevare come il giudizio sulla loro significativa incidenza sulla formulazione di una prognosi negativa appare contraddetto dalla valutazione operata per escluderne ogni rilievo ai fini della recidiva contestata. In particolare, la loro epoca remota è stata congruamente apprezzata dal giudice di primo grado per negare ogni collegamento con la pregressa pericolosità dell’imputato.
Quindi gli stessi precedenti penali sono stati ritenuti al contempo, ed in modo poco coerente, significativi di una maggiore capacità a delinquere rispetto alla prognosi di probabile reiterazione dei reati ai fini della decisione sulla richiesta di sospensione del procedimento, ed in termini, invece, opposti rispetto alla valutazione espressa in sede di determinazione della pena.
Pur nella diversità degli istituti considerati, la valutazione dei medesimi elementi apprezzati ai fini della commisurazione della pena non può giustificare divaricazioni di giudizio così nette rispetto all’applicazione di un beneficio premiale che si basa sull’applicazione degli stessi parametri previsti dall’art.133 C.p.
La determinazione della pena commisurata in misura prossima al minimo edittale confligge nel caso di specie con la valutazione espressa in termini così severi per escludere ogni possibilità di accesso dell’imputato al beneficio della sospensione del procedimento, prescindendo da una verifica anche del programma di trattamento che, soprattutto in casi come quello in esame, avrebbe potuto, insieme all’acquisizione di informazioni sulle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica, orientare meglio la valutazione del Tribunale rispetto ad una prognosi che, pur nella opinabilità di giudizio insita nella sua natura di previsione probabilistica, deve essere sempre sorretta da una motivazione adeguata che dia conto della decisione adottata, senza apodittiche e trancianti preclusioni, che vanificherebbero la ratio stessa dell’istituto e le finalità di recupero sociale ad esso sottese per reati ritenuti di non particolare gravità a favore di soggetti la cui personalità non si presenti come irrimediabilmente compromessa dall’abitudine al crimine.
Non si tratta di rimettere in discussione il principio già affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’impossibilità di formulare con esito favorevole la prognosi in ordine alla capacità a delinquere dell’imputato impedisce che quest’ultimo ottenga il beneficio richiesto, indipendentemente dalla presentazione del programma di trattamento (Cass., Sez. 5, n. 7983 del 26/10/2015; Cass., Sez. 4, n. 8158 del 13/02/2020).
Ma soltanto di ribadire che il giudizio in merito all’adeguatezza del programma presentato dall’imputato va operato sulla base degli elementi evocati dall’art. 133 C.p., in relazione all’idoneità dello stesso a favorirne il reinserimento sociale, e può essere utile anche ad integrare il giudizio relativo alla prognosi in ordine al pericolo della commissione di nuovi reati, nei casi in cui gli elementi tratti dal casellario giudiziario non offrano elementi decisivi valorizzabili in senso negativo nella stima della prognosi.
La sospensione del processo con messa alla prova è per legge subordinata ad un duplice giudizio che investe sia l’idoneità del programma di trattamento e, congiuntamente, quello della prognosi favorevole in ordine all’astensione dell’imputato dal commettere ulteriori reati.
Si tratta di valutazioni differenti, rimesse alla discrezionalità del giudice guidata dai parametri indicati dall’art. 133 C.p., ma che devono essere integrate tra loro, tenuto conto che la prognosi positiva sulla futura condotta dell’imputato può anche discendere dalla apprezzata idoneità del programma di recupero calibrato sulla specificità del caso concreto, quando non vi siano elementi significativi che escludano, già di per sé soli, la possibilità di formulare con esito favorevole la prognosi in ordine alla capacità a delinquere dell’imputato.
Corte di Cassazione Sez. 6 n. 6606 Anno 2022