Il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis C.p. sussiste anche nell’ipotesi di abuso delle condizioni di inferiorità psichica.
La condizione di inferiorità psichica prevista al n. 1 del II comma dell’art. 609 bis C.p., infatti, prescinde da fenomeni di patologia mentale, essendo ben riferibile a fattori di natura diversa, anche ambientale, connotati da tale consistenza ed incisività da viziare il consenso all’atto sessuale della persona offesa (vedi Cass., Sez. III, 20.10.1994, n. 10804). È sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza alla altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, condizioni pure dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, esclusa ogni causa propriamente morbosa: situazioni psichiche siffatte devono ritenersi idonee ad elidere comunque, in tutto o in parte, la capacità della vittima di esprimere un valido consenso, si da impedirle di respingere efficacemente gli atti sessuali dell’agente.
Sul punto va ribadita la giurisprudenza costante di legittimità, secondo la quale, in tema di violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorità psichica o fisica ex art. 609 bis, comma 2 n. 1, C.p., la disciplina posta dalla legge n. 66/1996, … in linea con l’intenzione del legislatore di assicurare pure ai soggetti in condizioni di inferiorità psichica una sfera di estrinsecazione della loro individualità, anche sotto il profilo sessuale, purché manifestata in un clima di assoluta libertà, ha inteso punire soltanto le condotte consistenti nell’induzione all’atto sessuale mediante abuso delle suddette condizioni di inferiorità.
L’induzione si realizza quando, con un’opera di persuasione spesso sottile o subdola, l’agente spinge o convince la persona che si trovi in stato di inferiorità a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto. Non è necessario che l’induzione determini un inganno della vittima, essendo sufficiente anche un’opera di persuasione sottile o subdola che convinca il soggetto a compiere o subire l’atto sessuale (vedi Cass., Sez. III, 7.9.2005, n. 32971).
L’abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui (vedi Cass., Sez. III: 11.12.2003, n. 47453; Cass., n. 1154 del 11.10.1999; Cass., n. 4114 del 15.2.1997).
Sussiste, dunque, un consenso della vittima all’atto sessuale, ma esso è viziato dalla condizione di inferiorità e dalla strumentalizzazione di detta condizione: è, pertanto, dovere del giudice espletare un’indagine adeguata per verificare se l’agente abbia avuto la consapevolezza non soltanto delle minorate condizioni del soggetto passivo ma anche di abusarne per fini sessuali.
(Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza 3 settembre 2007, n. 33761).