La norma incriminatrice ex art. 615 ter C.p. disciplina l’ “Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico“:
“Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico(2) protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.”
La norma punisce non solo l’accesso abusivo a un sistema informatico, ma anche il mantenimento nello stesso contro la volontà del titolare.
La condotta di illecito mantenimento può perfezionarsi anche in presenza di una casuale iniziale introduzione nel sistema informatico (Cass., Sez. U., n. 4694 del 27/10/2011; conf. Cass., Sez. U., n. 17325 del 26/03/2015), e (Cass., Sez. V, n. 34141/2019, nell’ipotesi in cui l’imputato si sia “volontariamente intrattenuto nel programma Skype della moglie scorrendo l’intera conversazione” tenuta con un terzo, suo presunto amante, pur sapendo di non essere autorizzato a farlo ed anzi nella piena consapevolezza della contraria volontà della moglie; e, anche, qualora la persona offesa avesse “registrato” la password per non doverla riscrivere in occasione di ogni accesso non esclude che il sistema informatico in questione fosse munito di misura di sicurezza a protezione dello ius excludendi).
Secondo il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, non rileva la circostanza che le chiavi di accesso al sistema informatico protetto siano state comunicate all’autore del reato, in epoca antecedente rispetto all’accesso abusivo, dallo stesso titolare delle credenziali, qualora la condotta incriminata abbia portato ad un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante l’eventuale ambito autorizzatorio (Cass., Sez. 5, n. 2905 del 02/10/2018); (ripreso da Cass., Sez. V, n. 34141/2019).
Il contenuto della corrispondenza (telematica) non può essere rivelato senza una giusta causa, ex art. 616 comma 2, C.p. Tale corrispondenza telematica può essere depositata nel giudizio civile? in tal senso Cass., Sez. V, n. 34141/2019 ha ritenuto la non sussistenza della “giusta causa” nel deposito della corrispondenza telematica (copia di una conversazione avvenuta sulla piattaforma Skype tra la moglie e il suo presunto amante) nel giudizio civile di separazione giudiziale al fine di ottenere la separazione con addebito della controparte.