Ambiente: tutela tra Stato, Regioni e Province autonome

ambienteLa giurisprudenza della Corte Costituzionale, nel corso delle varie pronunce ha più volte ribadito che la materia dell’ ambiente è una “materia traversale” poiché “sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell’ ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente, e, quindi, altri interessi“.
L’esercizio della competenza legislativa regionale nelle materie di propria competenza, dunque, trova un limite nella disciplina statale della tutela ambientale, salva la facoltà delle Regioni di prescrivere livelli di tutela ambientale più elevati di quelli previsti dallo Stato.
In materia di aree protette, lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si articola nella previsione di strumenti regolatori delle attività esercitabili al loro interno e di esclusione dell’esercizio dell’attività venatoria.

Invero, l’art. 21 della Legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), vieta l’esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali.

Più in generale, l’invasione della sfera di competenza legislativa dello Stato in materia ambientale, rileva in riferimento alla Legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette); in base ad essa (art. 1), costituiscono aree protette tutti quei territori ove sono presenti “formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale” e che sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e protezione, volto ad assicurare la conservazione del patrimonio naturale del paese e la conservazione delle specie animali.
La predetta legge quadro nazionale classifica le aree naturali protette in parchi e riserve naturali e, in relazione alla dimensione locale degli interessi naturalistici, attribuisce alle Regioni la competenza per l’istituzione e la classificazione dei parchi e delle riserve regionali.

L’art. 11 della medesima legge prevede che la disciplina delle attività consentite all’interno dell’area del parco sia posta mediante regolamento, adottato dall’ente parco, nel rispetto di alcuni divieti tra cui rileva quello di cui al comma 3, lettera a), dell’art. 11, che impone di non danneggiare e disturbare le specie animali.
Il rispetto di tale divieto si impone anche per i parchi regionali, in forza della previsione dell’art. 22 della Legge quadro n. 394 del 1991 che, nell’individuare i principi fondamentali a cui la disciplina delle aree naturali protette regionali deve attenersi, vi include l’adozione di regolamenti delle aree protette “secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai princìpi di cui all’articolo 11” (art. 22, comma 1, lettera d).
Il divieto di disturbo delle specie animali integra, dunque, uno standard minimo di tutela ambientale, derogabile solo mediante il meccanismo previsto dall’art. 11, ovvero previa valutazione da parte dell’Ente parco, soggetto preposto alla salvaguardia dell’area protetta, in quanto tecnicamente competente.

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 74 ANNO 2017

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