L’istituto dell’amministrazione di sostegno trova una specifica tutela giuridica nell’art. 404 C.c.: “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio“.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, può essere assoggetta ad amministrazione di sostegno la persona che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi; la procedura, pur se non esige che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità d’intendere o di volere, presuppone comunque il riscontro di una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi; e quindi per converso esclude che il sostegno debba esser disposto nei confronti di chi si trovi, invece, nella piena capacità di determinarsi, anche se in condizioni di menomazione fisica. L’istituto dell’amministrazione di sostegno … non può essere piegato ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volto, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire (v. Cass. n. 19866/2018).
A tale considerazione va aggiunto che l’art. 408 C.c., (“La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario“) consente allo stesso beneficiario di designare l’amministratore di sostegno, in previsione della eventuale propria futura incapacità; e ciò è stato ritenuto da questa Corte indice del principio di autodeterminazione, in cui si realizza un dei valori fondamentali della dignità umana (cfr. Cass. n. 23707/2012).
E, ancora, “L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso… Le designazioni di cui al primo comma possono essere revocate dall’autore con le stesse forme“.
Pertanto, salvo che non sia provocata da una patologia psichica, tale da rendere l’interessato inconsapevole finanche del bisogno di assistenza, pure l’opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione; e come tale non può non esser considerata dal giudice nel contesto della decisione che a lui si richiede; in altri termini, la volontà contraria all’attivazione della misura, ove provenga da una persona pienamente lucida, non può non esser tenuta in debito conto (v. in tal senso, in motivazione, Cass. n. 22602/2017); il che giustappunto si trae dal fatto che la condizione di ridotta autonomia, che si colleghi a menomazioni soltanto fisiche, è ben compatibile con l’esplicazione di una volontà libera, consapevole e dunque, in base allo statuto dei diritti di ogni persona, non coercibile.
Ne deriva che, in tema di amministrazione di sostegno, l’equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così de discernere le fattispecie a seconda dei casi: se cioè la pur riscontrata esigenza di protezione della persona (capace ma in stato di fragilità) risulti già assicurata da una rete familiare all’uopo organizzata e funzionale, oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela; nel secondo caso il ricorso all’istituto può essere giustificato, mentre nel primo non lo è affatto, in ispecie ove all’attivazione si opponga, in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse si discute.
Corte di Cassazione Ordinanza 31 dicembre 2020, n. 29981