Nell’ambito della giurisprudenza di legittimità si discute in merito all’applicabilità dell’art. 131 bis C.p. anche in caso di reati legati dal vincolo della continuazione, allorché le azioni illecite siano commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona.
Osserva la Corte di legittimità che, dopo un’iniziale attitudine rigorista nell’applicazione della norma introdotta dal D.Lgs. n. 28 del 2015, art. 1, comma 2, si sta consolidando un orientamento favorevole all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. anche al reato continuato.
Si vedano, ad esempio, tra le più recenti, Cass., Sez. 5, n. 30434 del 13/07/2020; Sez. 2, n. 11591 del 27/1/2020; Sez. 4, n. 10111 del 13/11/2019; Sez. 2, n. 42579 del 10/9/2019; Sez. 4, n. 4649 dell’11/12/2018; Sez. 4, n. 47772 del 25/09/2018; Sez. 2, n. 41011 del 6/6/2018; Sez. 5, n. 32626 del 26/03/2018; Sez. 2, n. 9495 del 7/2/2018; Sez. 5, n. 5358 del 15/1/2018.
Per tale orientamento, il solo fatto che il reato, per il quale si chiede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sia stato posto in continuazione con altri non è di ostacolo, in astratto, all’operatività dell’istituto occorrendo valutare, in concreto, se “il fatto” nella sua globalità, avuto riguardo alla natura degli illeciti unificati, alle modalità esecutive della condotta, all’intensità dell’elemento psicologico, al numero delle disposizioni di legge violate, agli interessi tutelati, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità. Si è anche affermato che non assume rilievo la circostanza che siano state violate, con la medesima azione, più volte, la stessa ovvero più norme ed anche che le violazioni siano avvenute con distinte azioni, ma nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, in quanto in tale caso la volontà criminosa è stata sostanzialmente unica e può non essere incompatibile con il concetto di estemporaneità dell’azione illecita rispetto alla personalità del reo. In particolare, è stato evidenziato che la logica antinomia tra reato continuato e particolare tenuità del fatto è infatti rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costituire di per sé espressione di una certa serialità nel delinquere ovvero di una progressione criminosa, indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell’offesa in tal modo arrecata (così, Cass., Sez. 4, n. 10111 del 2019).
Secondo la sentenza Cass., Sez. 3, n. 16502 del 20/11/2018, il legislatore ha utilizzato precisi aggettivi riferiti alle condotte – plurime, abituali, reiterate – con un ben chiaro spettro semantico: reiterata è la condotta ripetuta nel tempo con identiche modalità fenomeniche; abituale è quella che, non essendo episodica, si segnali per una certa metodicità; plurima è quella che, anche sotto diverse guise, intervenga un considerevole numero di volte, come indicato nella sentenza a Sezioni Unite n. 13681 del 25/2/2016. È stato inoltre osservato nella sentenza Cass., Sez. 5, n. 32626 del 2018, cit. che l’adesione alla diversa opzione interpretativa, che esclude in radice l’applicabilità del beneficio all’ipotesi di reato continuato, appare distonica rispetto alla stessa sistematica sanzionatoria di cui costituiscono espressione le disposizioni di cui all’art. 81 C.p., giacché pregiudicherebbe l’imputato che, pur beneficiando del regime di favore previsto dall’art. 81 C.p., non può accedere alla suddetta causa di non punibilità. Essa, inoltre, comporta un’ingiustificabile disparità di trattamento con la figura del concorso formale tra reati, prevista sempre nell’art. 81, al comma 1, nel qual caso, nonostante la pluralità di illeciti commessi unificati quoad poenam, parrebbe potersi consentire l’eventuale applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 131-bis C.p. in quanto il concorso formale è caratterizzato da una unicità di azione od omissione che rende impossibile collocarlo tra le ipotesi di “condotte plurime, abituali e reiterate” menzionate dall’art. 131-bis, comma 3 (così in motivazione, Cass., Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015).
Si è osservato, a tal proposito, che il legislatore, per molti versi considera le due figure in modo identico al fine di mitigare il cumulo materiale delle pene “trattandosi di più reati espressione di una spinta unitaria a delinquere, ritenuta di minor allarme rispetto ad una reiterazione delittuosa che trovi rinnovate e autonome causali nell’agente” (così Cass., Sez. 2, n. 9495 del 2018). Si è anche affermato che l’obiettivo di deflazione processuale perseguito dal legislatore del 2015 verrebbe sostanzialmente frustato nel caso in cui si escludesse automaticamente la possibilità di declaratoria della causa di non punibilità (Cass., Sez. 2, n. 41011 del 2018, cit.).
Alcune delle sentenze citate, che ritengono la compatibilità dell’art. 131-bis c.p. con il reato continuato, escludono tuttavia l’applicabilità della causa di non punibilità quando si tratti di continuazione diacronica, allorché i reati siano stati commessi in momenti spazio-temporali diversi, nel qual caso la volizione criminosa non appare unitaria e circoscritta (così, Cass., Sez. 4, n. 47772 del 2018; cit.; Sez. 5, n. 5358 del 2018).
La Suprema Corte di Cassazione ritiene di aderire all’orientamento maggioritario che si sta consolidando con il correttivo ultimo citato ove le condotte sono state reiterate, cioè ripetute nel tempo con identiche modalità fenomeniche, ma in un arco temporale rilevante e quindi e non commesse nello stesso contesto temporale, sicché non corretta l’applicazione dell’art. 131-bis C.p.
Corte di Cassazione, Sez. III, 13 luglio 2021, n. 35630