Apprezzamento della prova indiziaria
Preliminarmente si impone l’esposizione di alcune premesse di ordine generale circa le nozioni fondamentali, stabilite dall’elaborazione interpretativa della Corte di legittimità, in tema di prova indiziaria.
E’ noto che per indizio s’intende “un fatto certo dal quale, per inferenza logica basata su regole di esperienza consolidate e affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare, secondo lo schema del cd. sillogismo giudiziario” (Cass. Sez. U., n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992), ossia un elemento conoscitivo che, senza poter rappresentare in via diretta il fatto da provare, è dotato di un’autonoma capacità rappresentativa, riguardante una o più circostanze diverse, ma collegate sul piano logico con quella da dimostrare. Se dall’indizio è deducibile un’unica conseguenza, esso costituisce una prova logica compiuta ed in sé sufficiente (sez. 4, n. 19730 del 19/03/2009) nel senso che presenta una correlazione obbligata tra fatto ignoto e quello noto, al quale, sulla base delle leggi scientifiche, il primo è legato in modo certo ed inevitabile. Solitamente esso è però significativo di una pluralità di fatti non noti, presentando “un livello di gravità e precisione, che è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale l’indizio porta verso il fatto da dimostrare, e inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza“.
Tale relativa ambiguità ed inefficienza probatoria diretta dà conto della ragione per la quale il sistema processuale impone un particolare rigore valutativo degli indizi secondo la regola dettata dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., di cui pretende l’accertamento della gravità, precisione e concordanza.
La riflessione esegetica condotta dalla giurisprudenza di legittimità è ormai pervenuta ad esiti consolidati nel ravvisare la corretta applicazione del parametro legale di apprezzamento della prova indiziaria, in quanto il fatto assumibile come indizio deve presentare carattere di certezza, intesa, non in senso assoluto e naturalistico, ma quale portato della verifica processualmente conducibile alla stregua delle fonti di prova acquisite (Cass. sez. 4, n. 2967 del 25/01/1993; sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008; sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008): è dunque preteso che la prova critica non sia affidata ad un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito sulla scorta di opinabili congetture o di elaborazioni personali del decidente, dovendo ricevere riscontro nelle evidenze probatorie del processo.
Quanto ai caratteri dell’indizio, per gravità s’intende l’intrinseca capacità dimostrativa rispetto al thema probandum, ossia la probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, mentre precisione significa specificità, univocità ed impossibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile e concordanza, requisito proprio della pluralità di indizi, indica convergenza, concordanza e non contraddittorietà di significato in modo tale che, grazie al reciproco collegamento ed alla simultanea direzione verso lo stesso risultato, il loro insieme assume l’efficacia dimostrativa della prova ( Cass. sez. 1, n. 7027 del 08/03/2000; sez. 4, n. 22391 del 02/04/2003; sez. 6, n. 3882 del 04/11/2011; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013; sez. 1, n. 37348 del 06/05/2014).
La lezione interpretativa costante della Corte ha precisato come l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. imponga anche un vincolo metodologico per il corretto utilizzo della prova indiziaria, nel senso che, poiché l’indizio in sé considerato può essere indicativo di una pluralità di fatti non noti, incluso quello da dimostrare, il relativo apprezzamento postula una preventiva valutazione per individuarne “la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravità e precisione” (Cass. Sez. U., n. 33748 del 12.7.2005) sulla base di affidabili regole di esperienza e di criteri logici e scientifici; quindi, è necessario approdare al passaggio successivo, ossia alla considerazione unitaria e complessiva, che ne evidenzi “i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo” e chiarisca eventuali profili di ambiguità, presentati da ciascuno di essi in sé considerato, in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio anche in assenza di una prova diretta di reità, non essendo sufficiente dal punto di vista metodologico proporne una lettura in termini di mera
sommatoria, né, all’opposto, un’analisi atomistica, priva del loro raffronto e della loro considerazione unitaria (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005; sez. 1, n. 30448 del 09/06/2010; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013; sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013). E’ poi illuminante l’avvertenza che nel descritto percorso da seguire nell’impiego della prova critica, che, partendo dalla considerazione del singolo dato informativo, saggiato nella sua persuasività, approdi ad una ricostruzione organica dei dati raccolti, il giudizio di gravità può differire per ciascuno di essi ed influenzarne la valutazione complessiva: la pluralità, che consente di ravvisare la concordanza, e la gravità sono requisiti tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando essi consentano una sola comune ricostruzione, mentre, all’opposto, in presenza di indizi particolarmente gravi, anche un numero ridotto può essere sufficiente per il raggiungimento della prova del fatto (sez. 5, n. 40274 del 19/04/2017; sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017; sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016; sez. 5, n. 6397 del 21/02/2014).
Nell’impiego della prova indiziaria è dunque richiesta al giudice la conduzione di un ragionamento probatorio che attraverso l’utilizzo di regole di esperienza, – tratte dalla osservazione ripetuta del normale svolgimento delle vicende naturali e di quelle umane in presenza di determinate condizioni e dalla logica, che orienta i percorsi mentali della razionalità umana, oppure di leggi scientifiche di valenza universale o di provata ricorrenza statistica – deve procedere, fornendone adeguata giustificazione, alla verifica, dapprima della validità delle regole o delle leggi utilizzate, quindi della correttezza e consequenzialità logica del risultato ottenuto per proporre una ricostruzione del fatto di reato “in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi (sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992).
Tale operazione deve essere guidata dalla regola, positivizzata dall’art. 533 cod. proc. pen., comma 1, ma già riconosciuta quale criterio fondante il sistema processuale dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 30328 del 10/07/2002), che impone di pronunciare sentenza di condanna solo se la colpevolezza dell’imputato emerga al di là di ogni ragionevole dubbio, criterio generale per il riscontro della consistenza logica e della valenza dimostrativa del discorso probatorio.
Come già affermato dalla Corte, tale canone orientativo, pur non autorizzando il recepimento di qualsiasi spiegazione alternativa del medesimo fatto segnalata dalla difesa (Cass. sez. 1 n. 53512 dell’11/07/2014; sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014; sez. 5 n. 10411 del 28/01/2013), impone che la pluralità di soluzioni abbia costituito oggetto di puntuale e attenta disamina da parte del giudice e che l’esistenza di una ragionevole perplessità sulla ricostruzione alternativa, riguardante tanto la causale, che gli autori dell’azione criminosa, sia stata esclusa all’esito di un percorso delibativo, condotto mediante un serrato confronto dialettico con le emergenze processuali. Per convalidare sul piano logico il giudizio di colpevolezza, è dunque necessario che i dati probatori acquisiti siano tali da lasciare fuori solo eventualità remote, la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta sia priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, o comunque si ponga al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana (Cass. sez. 1 n. 31456 del 21/05/2008; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013; sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014).
Inoltre, la medesima regola pretende “percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standards conclusivi di alta probabilità logica, dovendosi riconoscere che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova” (Cass., Sez. U., n. 18620 del 18/01/2017).
Va completata questa breve rassegna degli orientamenti giurisprudenziali sulla prova logica, richiamando la natura del sindacato conducibile da parte della Suprema Corte sulla correttezza del procedimento indiziario, che, senza potersi occupare della gravità, della precisione e della concordanza in sé degli indizi, la cui verifica diretta comporterebbe sconfinamenti indebiti nella ricostruzione del fatto di reato, compito esclusivo del giudice di merito, deve attenersi all’articolazione logica e giuridica della motivazione della sentenza per poterne verificare la corretta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, cod.proc.pen., delle regole della logica e del principio di non contraddizione, nonché la compiutezza e coerenza argomentativa nella considerazione della valenza dimostrativa dei risultati acquisiti (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997; sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008; sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009; sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013).
Le superiori osservazioni s’innestano sui limiti intrinseci alla possibilità per il giudice di legittimità di ravvisare il vizio di motivazione della sentenza di merito: se le argomentazioni spese dal giudice devono assolvere alla funzione di rappresentare una adeguata e razionale sintesi dei dati dimostrativi emersi nel processo e la loro coordinazione in una lettura organica ed unitaria, che offra spiegazione coerente al verdetto conclusivo, la censura che sorregge la richiesta di riforma della decisione, per poter essere accolta, deve essere in grado di segnalare una reale frattura logica o l’inefficacia funzionale di tale percorso illustrativo.
Per essere validamente dedotto, il vizio di motivazione non può appuntarsi su una prospettazione frammentaria o parziale di singoli aspetti di criticità del ragionamento probatorio, esposto nel provvedimento contestato, ma deve aggredire l’intero percorso seguito in perfetta aderenza al suo sviluppo ed ai suoi contenuti.
Inoltre, con specifico riferimento alla valutazione della prova, la censura dell’impugnante non può limitarsi ad indicare diverse ipotesi ricostruttive del fatto rispetto a quella fatta propria dal giudice, ma deve indicare la non corretta applicazione dei principi logici e giuridici che ne regolano l’attribuzione all’imputato, tenendo sempre presente che il controllo sulla motivazione esercitabile dalla Corte di cassazione non riguarda il risultato dimostrativo della prova, né il verdetto in termini di colpevolezza o innocenza, quanto piuttosto il rispetto delle regole legali sulla formazione e valutazione della prova e dell’obbligo di giustificazione secondo il senso comune, la logica ed il principio di non contraddizione. E’ tradizionale nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione per cui in sede di legittimità sono precluse «nuove» attribuzioni di significato o la sollecitazione ad una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche quando si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa o più persuasiva.
In altri termini, “l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 1 n. 48673 del 2019