Ariaferma. Film del 2021
Ariaferma è un film drammatico che esce nelle sale cinematografiche nel 2021 che sotto la regia di Leonardo Di Costanzo e la partecipazione di Toni Servillo e Silvio Orlando, è stato presentato fuori concorso alla mostra di Venezia e ha ottenuto 11 candidature e vinto 2 David di Donatello 2022 come Migliore sceneggiatura originale a Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero e Valia Santella e Miglior attore protagonista a Silvio Orlando.
Ariaferma è ambientato nel carcere di San Sebastiano di Sassari, ormai prossimo alla chiusura per le sue condizioni fatiscenti. Ma all’improvviso arriva la notizia che 12 detenuti devono ancora rimanere nel vecchio stabile, in quanto non è ancora pronta la loro ricollocazione in un nuovo stabile carcerario. Così inizia una dura convivenza tra i detenuti rimasti e gli agenti di polizia penitenziaria in uno spazio ristretto, mettendo a dura prova gli animi di entrambi.
Il film Ariaferma è l’occasione per riflettere sulla misura del carcere in rapporto alle altre misure alternative (l’affidamento in prova al servizio sociale, la semi-libertà, la detenzione domiciliare).
Tra le varie misure previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario e dal codice penale – ferma restando la necessità di distinguerle secondo il criterio fondamentale dell’esecuzione interna od esterna al carcere (sentenza n. 32 del 2020) – non può essere infatti costruita una sorta di graduatoria, che le classifichi secondo una scala ascendente di severità, muovendo, in particolare, da quelle che presenterebbero minore analogia con la reclusione intramuraria, fino a quelle che con quest’ultima dovrebbero in tesi esibire più forti analogie.
In realtà, le misure in questione mirano al contenimento del rischio di recidiva anche, ed anzi soprattutto, mediante una progressione del percorso trattamentale finalizzato alla risocializzazione del condannato e, quindi, al suo reinserimento nella società.
In altre parole, non ha fondamento la pretesa di riscontrare corrispondenza assoluta tra livello di pericolosità del condannato stesso (misurato, oltretutto, secondo criteri largamente presuntivi) e maggiore o minore “somiglianza” delle singole misure al contenimento estremo, assicurato dalla detenzione in carcere (senza permessi, senza lavoro esterno, eccetera).
Laddove si tratti di confrontare misure che si eseguono, tutte, completamente al di fuori dell’ambiente carcerario, l’aspettativa di comportamenti corretti da parte del condannato è in gran parte legata al suo stesso autocontrollo. Nondimeno, ogni istituto presenta caratteristiche complesse, segnate da un particolare equilibrio tra strumenti di sorveglianza e controllo (cui si collega l’efficacia deterrente delle “sanzioni” previste per il caso della violazione degli obblighi tipici di ciascuna misura) ed effetto risocializzante delle prescrizioni imposte e del trattamento curato dagli organi preposti alla fase esecutiva. Il dosaggio variabile tra limitazioni della libertà personale e attività mirate al reinserimento del condannato, sotto la supervisione degli uffici di esecuzione penale, consente in altre parole un certo adeguamento della fase esecutiva della pena alle esigenze del caso concreto.
Ben vero che la considerazione della detenzione domiciliare quale misura priva di funzionalità risocializzante è recessiva, alla luce delle modifiche via via introdotte dal legislatore e della riflessione condotta in proposito dalla giurisprudenza e dalla comunità degli studiosi: giacché si tratta, comunque, di una forma di esecuzione della pena (sentenza n. 350 del 2003), che può arricchirsi di prescrizioni non necessariamente strumentali alle sole e basilari esigenze di vita dell’interessato (il finalismo delle prescrizioni in chiave di risocializzazione è stato valorizzato anche dalla giurisprudenza di legittimità: da ultimo, Corte di cassazione, sezione prima penale, 5 giugno 2018, n. 56703).
Nondimeno, e di converso, l’affidamento in prova implica la possibilità di prescrizioni tanto stringenti da risolvere la misura, a sua volta, in uno strumento di limitazione anche marcata della libertà personale (con obblighi sanzionati di non uscire in orari determinati, con divieto di frequentazione di luoghi e persone), e nel contempo valorizza al massimo grado l’affidamento ai servizi sociali, quale supporto per un percorso di riabilitazione puntualmente guidato e sostenuto, e dunque, almeno in potenza, particolarmente efficace. L’osservanza del programma è favorita tra l’altro dalla prospettiva di una revoca per l’elusione di una qualsiasi parte significativa delle prescrizioni, e non solo per l’abbandono del domicilio fuori dai casi consentiti.
Insomma, specialmente grazie alla duttilità consentita dalla relativa disciplina, la misura dell’affidamento può efficacemente fronteggiare la pericolosità segnalata dalla qualità del reato commesso, anche quando si tratti di fattispecie compresa negli elenchi dell’art. 4-bis ordin. penit.
CORTE COSTITUZIONALE sentenza 50/2020