L’assegno di divorzio viene disciplinato dall’art. 5 comma 6 della Legge sul divorzio (L. 898/1970) che stabilisce che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive“. (Cass., Ord. Sez. 6, n. 38928/2021)
La corresponsione dell’assegno di divorzio può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale e via sia l’accordo delle parti. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
Sul punto in merito alla debenza dell’assegno, il principio di diritto, affermato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287; ed ancora Cass. 17 settembre 2020, n. 19330), consiste nel riconoscimento all’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge di una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, richiedendo l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine, debbono applicarsi i criteri pari-ordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.
Le Sezioni unite hanno quindi confermato il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (gravando sul coniuge richiedente provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); e, per altro verso, riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non assicuri l’autosufficienza), ma anche ri-equilibratrice, ossia “compensativo-perequativa“, ove ne sussistano i presupposti. (Cass., Ord. Sez. 6, n. 38928/2021)
Tale principio è stato ancor meglio precisato di recente, con l’affermazione che «il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, nel qual caso l’assegno deve essere adeguato a colmare lo scarto tra detta situazione ed il livello dell’autosufficienza come individuato dal giudice di merito. Ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, l’assegno deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel
giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale» (Cass. 8 settembre 2021, n. 24250).
Da ciò si ricava il principio di diritto che ove sia chiesta la revisione dell’assegno divorzile ai sensi dell’art. 9 L. n. 898 del 1970, «il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fitto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali», senza che possa ritenersi, per converso, che il mero mutamento di giurisprudenza costituisca ex se ragione di revisione dell’assegno, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate (cfr. Cass. 20 gennaio 2020, n. 119). (Cass., Ord. Sez. 6, n. 38928/2021)