Associazione di tipo mafioso
Dispositivo dell’art. 416 bis Codice Penale
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Costituisce condiviso orientamento della Corte di legittimità (cf. Sez. 2 sentenza n. 27394 del 10/05/2017) che “il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio con la cd. «messa a disposizione», in quanto idonea ad accrescere, per ciò solo, la potenziale capacità operativa ed intimidatoria dell’associazione criminale“.
Non si nega sul punto un contrasto all’interno della Corte: secondo la tesi c.d. del “modello organizzatorio“, per ritenere integrata la condotta di partecipazione all’associazione di tipo mafioso, non è necessario che ciascuno dei membri del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi della condotta criminosa programmata: il contributo del partecipe può coincidere anche solo con la prestazione della propria disponibilità ad agire nell’interesse del gruppo, o dei suoi esponenti più significativi. Tale qualità non vuol dire adesione meramente passiva e improduttiva di effetti: presuppone la permanente e incondizionata offerta di contributo, anche materiale, con messa a disposizione di ogni energia e risorsa personale per qualsiasi impiego criminale richiesto; l’obbligo così assunto rafforza il proposito criminoso degli altri associati, e accresce le potenzialità operative e la complessiva capacità di intimidazione ed infiltrazione nel tessuto sociale del sodalizio: ex plurimis, Cass. 6992/1992; Cass. 2046/1996; Cass. 5343/2000; Cass. 2350/2005; Cass. 23687/2012; Cass. 49793/2013; Cass. 6882/2016.
Secondo la tesi c.d. “causale“, propria di un differente indirizzo giurisprudenziale, la mera indicazione della qualità formale di affiliato può invece non bastare, se essa non si correla alla riscontrata realizzazione di un concreto “apporto” alla vita dell’associazione, idoneo a far ritenere che il soggetto si sia inserito nel sodalizio in modo stabile e pienamente consapevole: Cass. 39543/2013; Cass. 46070/2015; Cass. 55359/2016.
La S.C. ritiene di aderire al tradizionale e maggioritario primo indirizzo perché l’art. 416 bis cod. pen. prevede la punibilità per la sola partecipazione, senza alcuna aggettivazione né “attiva” né “passiva“, con la conseguenza che non appare possibile un’interpretazione diversa da quella letterale. La semplice affiliazione a un’associazione criminale implica d’altronde di per sé “una partecipazione attiva” alla vita associativa, e la sua punibilità appare del tutto coerente con i principi costituzionali del nostro ordinamento. L’espressione “partecipazione attiva” è un pleonasmo, posto che il verbo “partecipare” significa prendere parte attiva, con il proprio contributo, a un’attività svolta da più persone, e tale contributo, sotto il profilo giuridico, può essere anche di sola adesione morale (ex plurimis: Cass. 2148/1988; Cass. 12591/1995; SSUU 45276/2003; Cass. 7643/2015).
Allorché l’art. 416 bis cod. pen. prevede la punibilità per il semplice “far parte di un’associazione di tipo mafioso“, il reato si può classificare come a forma libera e di pura condotta, perché si perfeziona con il compimento di una determinata azione, cioè con l’ingresso in una associazione. Se invece si fa riferimento al profilo della lesione del bene protetto, il reato è qualificabile come di pericolo presunto (ex plurimis, Cass. 3027/2016; Cass. 34147/2015), come tradizionalmente viene ritenuta ogni forma di partecipazione a un’associazione criminale: la caratteristica di tale tipologia di reati consiste nella repressione di una condotta che – secondo l’insindacabile valutazione del legislatore – è idonea di per sé a mettere in pericolo un determinato bene giuridico meritevole di essere tutelato in una fase anticipata, quindi a prescindere dalla sua concreta lesione.
Se dunque la semplice partecipazione all’associazione costituisce un reato di pericolo presunto perché di per sé mette in pericolo l’ordine pubblico, si spiega il motivo per cui il legislatore non ha richiesto che la partecipazione abbia una particolare connotazione sotto il profilo causale: infatti, una tale previsione trasformerebbe il reato di partecipazione all’associazione per delinquere di stampo mafioso, da reato di pericolo presunto in un reato di evento con conseguente necessità di provare il nesso causale fra la condotta di partecipazione e il rafforzamento del sodalizio criminale, che costituirebbe l’evento.
Inoltre, la tesi causale finisce per confondere e sovrapporre la condotta di associazione, e quindi il disvalore connesso al semplice ruolo – qualsiasi esso sia – che si riveste nell’ambito associativo, con le eventuali attività dell’associazione, quindi con la condotta dinamica di essa: l’assunzione di un ruolo all’interno dell’associazione configura una condotta del tutto distinta dalle attività dirette a
esercitare in concreto tale funzione in vista dei singoli obiettivi di volta in volta programmati. Una condotta come questa sotto il profilo fattuale è dell’associazione, e corrisponde di regola alla commissione dei reati scopo.
Il ruolo di “socio“, che si assume dopo essere stati ammessi a far parte dell’associazione criminale, costituisce in sé una condotta tipica che va sanzionata penalmente perché anche il semplice inserimento nell’organizzazione di un nuovo soggetto rafforza l’associazione secondo massime d’esperienza fondate sull’id quod plerumque accidit: gli altri soci sanno di poter fare affidamento, nel momento del bisogno, sul nuovo associato.
In tal senso può dirsi che “la messa a disposizione” altro non sia che l’automatico effetto che deriva dall’essere stato ammesso nell’associazione mafiosa.
Nella stessa direzione si pongono Sez. 2 sentenza n. 56088 del 12/10/2017: “ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non è necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del sodalizio e aderisca consapevolmente al programma criminoso, accrescendo per ciò solo la potenziale capacità operativa e la temibilità dell’associazione“. In senso conforme Sez. 2 sentenza n. 18559 del 13/03/2019; Sez. 5 sentenza n. 27672 del 03/06/2019.
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 2 n. 12422 del 2021