Bullismo in ambito scolastico
Integrazione della fattispecie degli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.
Nel caso di specie la vittima, uno studente veniva preso di mira da altri quattro coetanei all’interno di un istituto scolastico. La vittima, ormai succube della violenza, dopo un’iniziale tentativo di ribellione, aveva dovuto accettare condotte di sopraffazione “per evitare altre botte”, in un clima di connivenza e l’insipienza di quanti, dovendo vigilare sul funzionamento dell’istituzione, e non si accorsero di nulla.
La fattispecie è stata inserita nel più ampio contesto degli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.
Ciò posto, va ribadito che, ai fini della rituale contestazione del delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen. – che ha natura di reato abituale -, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un’adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa (Sez. 5, n. 7544 del 25/10/2012 – dep. 15/02/2013).
Anche il carattere isolato di alcuni episodi risulta del tutto priva di specifico aggancio alle positive risultanze processuali. Quanto, poi, al verificarsi dell’evento del reato, occorre rilevare che la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014).
Infine, deve ribadirsi che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012).
In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona offesa non si deve tradurre nell’individuazione di prove dotate di autonoma efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della rilevanza probatoria delle prime.
Corte di Cassazione penale sez. V, 27/04/2017, sentenza n. 28623