Il carretto siciliano si presenta come un veicolo a due ruote senza molle trainato da un solo animale che sostiene con la groppa gran parte del peso della cassa. Il legname adoperato è di vari tipi: noce, frassino, abete, faggio a seconda del pregio e del valore che il committente vuole dare al proprio carretto.
Elementi strutturali del carretto siciliano
(in stretto dialetto siculo):
- u fusu ( l’asse di ferro a cui si attaccano le ruote);
- a cascia (la cassa in legno di abete con due davanzali, anteriore e posteriore; due sponde laterali decorate esteriormente e internamente dette mascillari in faggio);
- l’asti (le due stanghe di faggio terminanti con due anelli in ferro per l’attacco dell’animale);
- i roti (due ruote con cerchioni di ferro e dodici raggi);
- curva, mozzo, cannula;
- i chiavi, (le traverse anteriore e posteriore in faggio, lavorate e dipinte);
- u purteddu (la sponda posteriore ribaltabile per carico e scarico merce);
- i viscidi, le boccole;
- a casciafusu (griglia di ferro attaccata al fuso, decorata a ferro battuto con fiori, ricami e foglie).
E gli accessori del carretto siciliano:
- u rutuni (rete fatta di corda posta sotto il davanzale anteriore dove vengono conservati i cibi, la bottiglia di vino, la borraccia per l’acqua e una bacinella per dare da bere all’animale);
- u suttapanza (cinghia di cuoio passante sotto la pancia dell’animale che serve a reggere sia i paramenti sul dorso che le asti in faggio del carretto);
- a coffa (cestino di paglia attaccato sotto la cassa che serve per nutrire l’animale);
- u lumi (lampada che illumina la strada al calar del sole);
- a catina (contenitore per l’uso del cane);
- l’umbrilluni (ombrello per ripararsi dalla pioggia o dal sole)
La decorazione del carretto siciliano poteva essere di tipo scultoreo o pittorico.
Inizialmente i soggetti erano di natura sacra affinché proteggessero il “guidatore” ed il carro.
Con il tempo poi, diffondendosi la cultura dei cantastorie che narravano di amori e cavalieri nelle piazze dei paesi, il repertorio si arricchì di nuovi temi.
I Santi furono soppiantati – ma senza mai scomparire del tutto – dalle storie di veri cavalieri d’onore quali i Paladini di Francia, l’Orlando Furioso e, soprattutto, dalle scene della “Cavalleria Rusticana”, la novella che Giovanni Verga dedicò proprio alla nobile figura del carrettiere.
Il tutto però, almeno all’origine, senza pretese di esecuzioni pittoriche di qualità mancando nei disegni ombre, luci e senso plastico.
I colori erano piatti e sgargianti come richiedeva il gusto popolare, preparati con minerali e terre naturali, stemperate in olio di lino cotto e vernici.
Oltre alle gesta dei Paladini, era sempre più spesso la cronaca giornaliera scandalistica o comunque suscitante forti contrasti nel popolo, il tema preferito da imprimere sulle fiancate del carretto quasi a voler esorcizzare le brutte storie d’amore e di sangue, guerre e vendette che aleggiavano nell’aria ad un livello intermedio tra realtà e poesia.
A Palermo per esempio, fu ampiamente rappresentata la storia della Baronessa di Carini, sottoposta ad una barbara esecuzione poiché cedette alle lusinghe di un amore clandestino.
Il carretto siciliano, pertanto, era divenuto un libro dove, di volta in volta, venivano raffigurati episodi religiosi, storico – letterari ed epico – cavallereschi avvenuti veramente.
Ma la pittura del carro assolveva anche una funzione più specifica: ad esempio tecnica, in quanto proteggeva il legno dalle intemperie; religiosa, poiché allontanava la negatività del male grazie alla vivacità dei colori e al contenuto di sacralità; commerciale, in quanto si pubblicizzavano i carri che avevano prodotti da vendere; sociale, poiché esponeva lo status symbol del proprietario ostentando il suo benessere tramite dipinti e fattezze molto ricercate e realizzate dai migliori maestri dell’epoca.
Per la preparazione del carretto era necessaria una importante organizzazione di lavoro:
- a Carradori e Carrozzieri la scelta del legno necessario per l’impostazione e la sagoma: l’abete, più facilmente adattabile per la cassa, il frassino per i raggi delle ruote poiché molto maneggevole, leggero ed altamente resistente mentre era generalmente di faggio il resto;
- l’Intagliatore era dedito al lavoro degli angoli, abbellendoli con figure; altresì trasformava le parti terminali dei pioli delle fiancate in teste di donna o di “pupi”, scolpiva i cunei e i davanzali della cassa e scolpiva la chiave e il pizzo dell’asse portante del carretto.
- il Fabbro lavorava “u fusu” e le parti metalliche della “casciafusu”;
- il Decoratore disegnava con motivi geometrici le superfici della cassa e dei davanzali;
- il Pittore invece trattava con due o tre mani di fondo colorato il carretto e poi dipingeva tutti gli spazi su cui era possibile esprimere la propria abilità. E’ chiaro che il legno era già stato preventivamente trattato con procedimenti antitarli ed antimuffe. Come ultima accortezza, al pari di una rappresentazione teatrale, riportava le iscrizioni, ossia la firma con il proprio nome, il nome del proprietario, il nome degli altri artigiani che avevano contribuito alla realizzazione dell’opera, e, per finire, frasi, proverbi, aneddoti di vita reale ulteriormente richiesti;
- al Fonditore la preparazione delle “boccole”, due scatole metalliche a forma di tronco di cono che andavano incastrate nei mozzi delle ruote e che producevano un suono caratteristico senza il quale il carretto non avrebbe più né la sua caratteristica, né valore. Il suono delle boccole era importante insieme al pregio del legno per valutarne la qualità del veicolo;
- l’ultimo il Pellettiere, che preparava i finimenti e gli accessori per il quadrupede.
Oggi i carretti in Sicilia si ammirano nei musei, nelle manifestazioni folkloristiche e sulle cartoline.
Ma un tempo, intere famiglie riuscivano a vivere di questa attività.