La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento si pronuncia sulla questione inerente la riconciliazione dei coniugi in ragione della loro coabitazione intervenuta nel periodo dopo la separazione e prima della proposizione della domanda di divorzio.
Alla luce dei principi di diritto già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità occorre fare le opportuni distinzioni sia con riguardo alla situazione fattuale della coabitazione rispetto alla riconciliazione fra i coniugi separati e sia in riferimento alla distribuzione dell’onere probatorio tra i coniugi in sede di giudizio di divorzio.
Con riferimento al rapporto esistente tra la riconciliazione e la coabitazione, occorre affermare (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19535 del 2014) che: “La mera coabitazione non è sufficiente a provare la riconciliazione tra coniugi separati essendo necessario il rispristino della comunione di vita e d’intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale. (Nella specie, la corte territoriale aveva escluso la riconciliazione per la presenza di comportamenti, anche processuali, la proposizione di domanda riconvenzionale di addebito formulata dal ricorrente in primo grado, ostativi al
ripristino, tanto più che la dedotta coabitazione era rimasta sfornita di allegazione di fatti probanti e di deduzione di mezzi istruttori idonei a corroborarla)“.
In sintesi la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la mera ripresa della coabitazione non equivale a riconciliazione (Cass. sez. 1, sent. n. 704 del 1980; Cass., n. 19497 del 2005; Cass., n. 28655 del 2013); che alla mera ripresa della coabitazione deve essere equiparata anche la coabitazione inerziale (o interessata da ragioni meramente materiali, dovute a fattori economici o logistici o di altra natura) purché essa non assuma il connotato della ricostituzione del consorzio familiare, attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, vale a dire della ripresa delle relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti, tali da comportare il superamento delle condizioni che avevano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza e che si concretizzino in un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione.
Con riferimento all’onere della prova tra i coniugi in sede di giudizio di divorzio occorre ribadire che (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23510 del 2010): “Nei giudizi di divorzio, l’art. 3, secondo comma, lett. h) della Legge 1 Dicembre 1970 espressamente stabilisce che l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta ad istanza di parte; pertanto, il giudice non può rilevarla d’ufficio, non investendo profili d’ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti ai rapporti tra i coniugi, in ordine ai quali è onere della parte convenuta eccepire e conseguentemente provare l’avvenuta riconciliazione“. Sul punto occorre richiamare altro e conforme precedente (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19535 del 2014) ove ha ulteriormente affermato il principio di diritto secondo cui “nel procedimento di divorzio l’interruzione della separazione deve essere eccepita, ai sensi dell’art. 3, quarto comma, lett. b), della Legge 1 Dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 5 della Legge 6 Marzo 1987, n. 74, dal convenuto, assumendo rilievo quale fatto impeditivo della realizzazione della condizione temporale stabilita nella medesima disposizione”.
Corte di Cassazione civile sez. VI, 05/02/2016, n.2360