Il Concorso anomalo nel reato è disciplinato dall’art. 116 C.p.:
Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione.
Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave.
La norma (introdotta dal codice penale del 1930 e ispirata a un rigore marcatamente accentuato nella repressione dei reati commessi con concorso di persone) delinea una fattispecie del concorso di persone nel reato ex art. 110 C.p. che prevede che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.
E ancora, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, rispondono tutte di quest’ultimo (art. 110 C.p.) perché da ciascuno “voluto” e quindi investito da dolo, pur con possibile diverso grado di intensità e di partecipazione causale sì da potersi distinguere tra chi ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo (nel qual caso la pena è aumentata: art. 112, primo comma, numero 2, C.p.) e chi invece abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato (ciò che comporta che la pena è diminuita: art. 114, primo comma, C.p.). Invece l’art. 116, primo comma, C.p. prevede l’ipotesi in cui un concorrente risponde del reato «diverso da quello voluto» e quindi in realtà “non voluto”; non di meno ne risponde perché ha voluto il reato oggetto dell’accordo e il reato diverso da quello voluto è conseguenza della sua azione od omissione. (Corte Cost. n. 55/2021).
Alla stregua dei principi costantemente declinati dalla giurisprudenza di legittimità rientra nell’attività costitutiva del concorso nel reato non solo quella che si concretizza nella partecipazione all’esecuzione materiale del reato stesso, ma anche quella morale che esplicandosi, sotto il profilo soggettivo, nella consapevole opera di determinazione, istigazione o rafforzamento della volontà di un determinato reato nell’autore (o negli autori) materiale di esso, ne costituisca, sotto il profilo oggettivo, adeguata concausa efficiente (Cass., Sez. 1, n. 9612 del 21/12/1987). La Corte di legittimità ha, altresì, chiarito che la configurabilità del concorso cosiddetto “anomalo” di cui all’art. 116 C.p. è soggetta a due limiti negativi e cioè che l’evento diverso non sia voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale e che l’evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base (Cass., Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018; Cass., Sez. 2, n. 48330 del 26/11/2015). A tal guisa secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale il dolo alternativo è contraddistinto dal fatto che il soggetto attivo prevede e vuole alternativamente, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi ricollegabili alla sua condotta (Cass., Sez. 5, n. 6168 del 17/01/2005; Cass., Sez. 1, n. 11521 del 25/02/2009; Cass., n. 9663 del 03/10/2013). (Cass., Sez. 2 , n. 45065/2021).
Si è rilevato che, pur mancando il dolo (anzi dovendo escludersi che esso ricorra anche nella forma del dolo eventuale), è però «necessaria, per questa particolare forma di responsabilità penale, la presenza anche di un elemento soggettivo», ossia «un coefficiente di partecipazione anche psichica»: occorre, in altre parole, che «il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza» (sentenza n. 42 del 1965).
La giurisprudenza di legittimità, sopra richiamata, ha, poi, chiarito che si tratta di prevedibilità in concreto, tenuto conto di tutte le peculiarità del caso di specie. Il correo è responsabile per il fatto-reato non voluto, perché avrebbe dovuto prevedere che l’attuazione dell’accordo delittuoso sarebbe potuta sfociare in un reato diverso; mentre – può aggiungersi – la previsione, da parte del correo, dell’evento diverso, con accettazione del rischio che si verifichi, ridonda in dolo eventuale e quindi in responsabilità piena, non diminuita dall’attenuante in esame (Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 28 giugno-30 agosto 1995, n. 9273).
Ancorché il difetto di prevedibilità possa ascriversi a colpa, il trattamento sanzionatorio, però, è quello del reato doloso, tale essendo la prescrizione del primo comma dell’art. 116 C.p.; ossia lo stesso trattamento previsto per il correo che ha commesso, e voluto, il reato “diverso”.
In ciò la norma esibisce tutto il suo rigore sanzionatorio se solo la si compara ad un’altra fattispecie generale e per certi versi simile: quella dell’art. 83 C.p. Norma questa che, al di fuori dell’ipotesi del concorso, prevede che se l’«evento [è] diverso da quello voluto», l’agente è responsabile a titolo di colpa e quindi solo ove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.
Invece l’art. 116, primo comma, C.p. non opera questo décalage da reato doloso a reato colposo. Prevede al contrario la stessa responsabilità per il reato, diverso da quello voluto con l’accordo delittuoso, commesso da altro correo, parificando così a quest’ultimo la posizione del concorrente che non ha voluto il fatto-reato.
Ed è qui che, come detto, soccorre il secondo comma dell’art. 116 C.p. per operare la necessaria diversificazione quanto alla dosimetria della pena. Il trattamento sanzionatorio non può essere pienamente parificato quando il reato commesso sia più grave di quello voluto. In tal caso la pena per il correo che risponde a titolo di colpa di un reato doloso più grave di quello voluto è necessariamente riequilibrata mediante l’operatività della diminuente prevista dalla norma. Anch’essa quindi concorre a sorreggere la tenuta costituzionale di questa eccezionale fattispecie di responsabilità penale, della quale peraltro già la sentenza n. 42 del 1965 auspicava una revisione e che è stata oggetto di varie iniziative di riforma, finora senza esito. (Corte Cost. n. 55/2021).
Il Concorso anomalo nel reato di cui all’art. 116, primo comma, C.p. contempla l’ipotesi in cui il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, prevedendo che quest’ultimo ne risponde se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Però, ove il reato commesso risulti essere più grave di quello voluto, l’art. 116, secondo comma, C.p. stabilisce che la pena è diminuita.
La giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 42 del 1965) ha chiarito che la responsabilità ai sensi dell’art. 116 C.p. richiede la sussistenza non soltanto del rapporto di causalità materiale, ma anche di un “coefficiente di colpevolezza“, poi ribadito dalla giurisprudenza di legittimità. Occorre cioè un nesso psicologico, che postula che il reato diverso o più grave commesso da altro concorrente possa rappresentarsi alla psiche del concorrente anomalo come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello concordato (ex multis, Cass., Sez. V, n. 45356/2019; Sez. IV n. 49897/2018; Sez. II, n. 49433/2018; Sez. I, n. 44579/2018) o come possibile epilogo rispetto al fatto programmato (Cass., Sez. I, n. 17502/2017).
Si tratta di una circostanza attenuante ad effetto comune che, ai sensi dell’art. 65 C.p., comporta la diminuzione della pena in misura non eccedente il terzo.
Quando tale diminuente concorre con l’aggravante della recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, C.p., il giudizio di prevalenza e, quindi, la diminuzione della pena, è impedita dalla disposizione censurata, rimanendo possibile, a favore dell’imputato, solo il giudizio di equivalenza. Infatti la legge n. 251 del 2005 ha riformulato il quarto comma dell’art. 99 C.p., introducendo il divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante, inclusa la diminuente del vizio parziale di mente, nell’ipotesi, tra l’altro, di recidiva reiterata, precludendo così in modo assoluto al giudice di applicare, in tal caso, la relativa diminuzione di pena.
Tale norma, nel testo risultante dalla legge n. 251 del 2005, è stata oggetto di numerose dichiarazioni di illegittimità costituzionale, che hanno restituito al giudice la possibilità di ritenere, nell’ambito dell’obbligatorio giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee, la prevalenza, rispetto alla circostanza aggravante della recidiva reiterata, di singole circostanze attenuanti, che sono state distintamente, di volta in volta, oggetto di verifica di costituzionalità.
In generale, la Corte Costituzionale ha affermato che deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato dall’art. 69 C.p., sono sì costituzionalmente ammissibili e rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ma sempre che non «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo in alcun caso giungere «a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012).
Nella maggior parte dei casi, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale hanno riguardato «circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva» (sentenza n. 73 del 2020), in quanto riferite ad attenuanti a effetto speciale, tali essendo quelle che importano una diminuzione della pena superiore ad un terzo (art. 63, terzo comma, C.p.): così la «lieve entità» nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); la «particolare tenuità» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014); la «minore gravità» nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuità» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017).
In un caso la dichiarazione di illegittimità ha avuto ad oggetto il divieto di prevalenza di una circostanza, l’essersi il reo adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori, diretta a premiare l’imputato per la propria condotta post delictum (sentenza n. 74 del 2016).
Più recentemente l’esito di incostituzionalità ha riguardato la circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 C.p., espressiva non già di una minore offensività del fatto, quanto piuttosto della ridotta rimproverabilità dell’autore, derivante dal minor grado di discernimento. In relazione a tale fattispecie la Corte ha affermato che il «disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020). (Corte Cost. n. 55/2021).