Nell’ambito del delitto di atti persecutori o Stalking di cui all’art. 612 bis C.p., il quesito sottoposto alla Corte di legittimità con la sentenza in commento concerne se, in caso di contestazione “aperta”, possano essere oggetto di giudizio anche condotte successive alla denuncia-querela presentata dalla persona offesa del delitto di atti persecutori ed al momento di esercizio dell’azione penale, in special modo perché emerse, nel corso del dibattimento di primo grado, dalla dichiarazione testimoniale della vittima o da altri elementi di prova.
Orbene, la giurisprudenza di legittimità dominante ha da tempo chiarito come l’abitualità del delitto di atti persecutori determini conseguenze in tema di tempus commissi delicti quando la condotta sia contestata con struttura “aperta“.
Precisamente si è affermato che, nel delitto di atti persecutori, avente natura di reato abituale di evento “per accumulo“, che si perfeziona al momento della realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma e si consuma al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, nel caso di contestazione “aperta“, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l’accertamento processuale da cui decorre il termine di prescrizione del reato, in mancanza di una specifica contestazione che delimiti temporalmente le condotte frutto della reiterazione criminosa (Cass., Sez. 5, n. 12055 del 19/1/2021; Sez. 5, n. 17350 del 20/1/2020).
Di conseguenza, è consentita, fino al momento della pronuncia di primo grado, l’estensione dell’imputazione alle condotte, frutto della reiterazione criminosa, realizzate dopo l’esercizio dell’azione penale (Cass., Sez. 5, n. 17100 del 11/12/2019, in una fattispecie relativa a contestazione del reato “con condotta in atto“, in cui la Corte ha ritenuto che le ulteriori minacce poste in essere dall’imputato nel corso del dibattimento nei confronti delle persone offese, anche dopo il loro esame, non potessero essere espressione di una nuova e diversa “campagna persecutoria“; Cass., Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018; Sez. 5, n. 22210 del 3/4/2017).
Tali arresti interpretativi prendendo atto della peculiarità strutturale che caratterizza il reato abituale di evento congegnato dall’art. 612-bis C.p., attribuiscono alla contestazione “aperta” la valenza di spostare in avanti il tempus commissi delicti, qualora sia provato che la condotta persecutoria sia proseguita anche successivamente all’esercizio dell’azione penale, attuando, così, l’autore della condotta, una “campagna” criminale prolungata nei confronti della vittima del reato: è l’accertamento giudiziale contenuto nella sentenza di primo grado, poi, a fornire stabilità temporale alla contestazione “aperta“.
Tale impostazione, peraltro, appare la logica conseguenza della pacifica opzione interpretativa secondo cui, nel delitto previsto dell’art. 612-bis C.p., che ha natura abituale di evento, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (Cass., Sez. 5, n. 51718 del 5/11/2014; Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016), sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (Cass., Sez. 5, n. 7899 del 14/1/2019).
Un’unica campagna persecutoria, in altre parole, deve ricevere una risposta giurisdizionale unitaria, qualora sin dall’inizio la contestazione sia stata riconosciuta come imputazione fluida nel tempo, descrittiva di una realtà persecutoria non cessata né chiusa, ma in essere ancora al momento dell’esercizio dell’azione penale e che si cristallizza, appunto, nel primo accertamento di merito che fissa il tempo del commesso reato (sicchè non si configura violazione del principio del “ne bis in idem” in caso di nuova condanna per fatti successivi alla data della prima pronuncia: così, specificamente, Cass., Sez. 5, n. 22210 del 2017 cit.).
Nella sentenza n. 17000 del 2020, in particolare, si è contestata la logica da cui muove l’unico precedente distonico rispetto a detto orientamento: l’arresto della Cass., Sezione V contenuto nella sentenza n. 45376 del 2/10/2019 che, sebbene ispirato dall’attenzione e dal rigore interpretativo dinanzi ad una fattispecie tipica complessa, ha ritenuto di escludere: “l’applicabilità al delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis C.p., che ha natura di reato abituale, e cioè a condotta plurima, del principio, proprio dei reati permanenti, secondo il quale, nell’ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall’istruttoria dibattimentale.” Di conseguenza si è detto che “le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l’imputazione originaria, sia – e a maggior ragione – quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione”. L’impostazione di cui è permeata la sentenza n. 45376 del 2010 – prosegue la sentenza n. 17000 del 2020 – è molto influenzata dalla fattispecie concreta in decisione e non tiene conto che deve essere valorizzato il dato peculiare della tipicità normativa che caratterizza il reato di atti persecutori: il delitto di cui all’art. 612-bis C.p., infatti, ha natura, sì, di reato abituale ma anche di reato di evento (o di danno), come è stato più volte pacificamente ribadito (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7899 del 2019 cit.; Sez. 3, n. 23485 del 7/3/2014; Sez. 3, n. 9222 del 16/1/2015), sicchè è a tale struttura complessa che bisogna guardare per poter esplorare la possibilità di ampliare i confini della contestazione di un reato già consumato e in relazione al quale è iniziata la fase dibattimentale dopo l’esercizio dell’azione penale.
Inoltre, l’evento, o meglio gli eventi alternativi (ciascuno dei quali è idoneo a realizzare il reato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 29782 del 19/5/2011; Sez. 5, n. 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo), che disegnano la tipicità oggettiva della fattispecie di stalking, si realizzano “per accumulo” di condotte reiterate: detto evento “per accumulo” rimane unico, ed unico si configura anche il reato, pur se, di seguito al suo perfezionamento, la condotta prosegua e arrivi ad ulteriore, definitiva consumazione, aggravandone le conseguenze, e cioè amplificando la dimensione dell’evento dannoso generato e già (nella gran parte) realizzatosi. Ciò perché, in un caso in cui evidentemente la condotta del ricorrente si inscrive nella medesima logica persecutoria e nel medesimo contesto di reato già delineato dall’imputazione in relazione alla quale è in corso il processo, non può dirsi che essa sia manifestazione di una nuova e diversa “campagna persecutoria” contro le vittime, bensì piuttosto costituisce l’apoteosi di quella già in atto (e come tale contestata dal pubblico ministero). Il reato, pertanto, se a contestazione “aperta” e in atto, ingloba in sé gli ulteriori frammenti di condotta che contribuiscono alla sua definitiva consumazione nelle forme finali unitariamente offensive, frutto della reiterazione criminosa.
Con riguardo alla questione relativa alla necessità o meno di contestare specificamente l’ulteriore prosecuzione della campagna persecutoria nel periodo temporale successivo all’esercizio dell’azione penale e precedente alla pronuncia di primo grado, una pronuncia, tra le altre, ha esplicitamente evidenziato – in linea di continuità con l’orientamento dominante già richiamato – che, nell’ipotesi di “contestazione aperta“, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’originaria imputazione, anche a fatti verificatisi successivamente alla presentazione della denunzia-querela e accertati nel corso del giudizio, non determinandosi una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull’oggetto dell’imputazione e da pregiudicare il diritto di difesa: gli ulteriori episodi persecutori si inseriscono, infatti, nella sequenza criminosa integrativa dell’abitualità del reato già contestato (Cass., Sez. 5, n. 15651 del 10/2/2020).
La tesi è condivisibile, alla luce del percorso interpretativo tracciato sinora e facendo leva sulla natura peculiare del delitto di stalking quale reato abituale di evento per accumulo, per come ricostruita dalla giurisprudenza di legittimità cui ci si è ispirati sinora.
Si ribadisce, pertanto, che il delitto di atti persecutori ha natura di reato abituale e di danno, che si consuma con la realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612-bis C.p., conseguente al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, così che, nell’ipotesi di “contestazione aperta“, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’originaria imputazione, anche a fatti verificatisi successivamente alla presentazione della denunzia-querela e accertati nel corso del giudizio, non determinandosi una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull’oggetto dell’imputazione e da pregiudicare il diritto di difesa.
Corte di Cassazione Sez. 5 n. 7768 Anno 2022