Danni subiti “iure proprio” e “iure hereditatis”
Nel caso di specie i ricorrenti azionavano la pretesa risarcitoria azionata contro la struttura ospedaliera per la morte della loro figlia all’esito di due interventi chirurgici alla quale la stessa fu sottoposta “a pochi mesi di vita“. I genitori della bambina, dopo aver rammentato come l’azione intrapresa contro la struttura ospedaliera fosse volta a conseguire il ristoro dei danni subiti sia “iure proprio” con attinenza al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione dello stretto congiunto, o per la privazione del rapporto parentale, sia “iure hereditatis” per il danno risarcibile “ex se” da perdita della vita, risentito in ragione della loro qualità e del vincolo familiare che indissolubilmente li lega alla figlioletta, censurano la decisione della Corte territoriale per aver escluso il risarcimento solo dei primi.
Sul punto la Corte territoriale “escludeva che la responsabilità contrattuale da “contatto sociale”, sussistente a carico dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente“, potesse “estendere i suoi effetti anche in favore di soggetti terzi“, – abbia negato che possa esservi “estensione degli effetti protettivi” del contratto “nei confronti dei genitori oltre che della minore soggetta alle cure della struttura stessa“.
A tale conclusione conduce, oltre a quanto già affermato in passato dalla Corte di legittimità (Cass. Sez. 3, sent. 8 maggio 2012, n. 6914, non massimata, e Cass. Sez. 3, sent. 20 marzo 2015, n. 5590, anch’essa non massimata, pronunce che entrambe riconducono alla previsione di cui all’art. 2043 c.c. la pretesa risarcitoria relativa a danni da lesione del rapporto parentale), la puntualizzazione dalla stessa operata, di recente, proprio con riferimento alla figura dei cd. “terzi protetti dal contratto“.
E’ stato sottolineato che “il suo campo di applicazione deve essere circoscritto – nell’ambito della responsabilità medica – al solo “sottosistema” in cui vengono in rilievo quelli che, nel modo di lingua inglese, vengono definiti come “wrongful birth damages“” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 8 luglio 2020, n. 14258), sicchè al di fuori di queste ipotesi l’azione per perdita (o lesione) del rapporto parentale è di natura solo aquiliana (in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 6 marzo 2020, n. 14615, non massimata).
Invero, “il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, da cui la responsabilità conseguente alla violazione di un rapporto obbligatorio“, sicchè il “danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione non richiede la qualifica dell’ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perchè la rilevanza dell’interesse leso dall’inadempimento non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c.” (secondo quanto ritenuto da Cass. Sez. Un., sent. 22 luglio 1999, n. 500), “ma alla corrispondenza dell’interesse alla prestazione dedotta in obbligazione (arg. ex art. 1174 c.c.)“, essendo, dunque, “la fonte contrattuale dell’obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all’interesse regolato” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991).
Su tali basi, dunque, si è affermato che, in forza “della “relazionalità” della responsabilità contrattuale (un precipitato, a ben vedere, dell’art. 1372 c.c., comma 1), è proprio la natura dell’interesse che segna, per così dire, il “limen” entro cui risulta possibile integrare – anche in chiave di efficacia protettiva verso terzi, ex art. 1375 c.c. – il contenuto del contratto, consentendo, così, pure a soggetti che non rivestono la qualità di parte negoziale di agire a norma dell’art. 1218 c.c.” (Cass. Sez. 3, sent. 14258 del 2020, cit.).
In questa prospettiva, pertanto, va qui ribadito che nel “territorio del “facere” professionale” – come lo ha definito dalla Corte – “l’interesse corrispondente alla prestazione” (che resta pur sempre il solo “perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore“) si presenta “solo strumentale all’interesse primario del creditore” stesso (ovvero, nel caso della prestazione sanitaria, la tutela della sua salute), il quale, però, “non ricade nel motivo irrilevante dal punto di vista contrattuale perchè non attiene alla soddisfazione del contingente ed occasionale bisogno soggettivo ma è connesso all’interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 28991 del 2019 cit.).
Da quanto appena osservato deriva, quindi, che per postulare l’efficacia protettiva del contratto verso terzi occorre che l’interesse di cui essi siano portatori risulti anch’esso strettamente connesso a quello “regolato già sul piano della programmazione negoziale“.
Tale è la ragione per cui nell’ambito delle prestazioni mediche la figura del contratto con efficacia protettiva verso terzi trova il suo luogo di emersione – come si diceva – “con riferimento alle relazioni contrattuali intercorse tra la puerpera e la struttura sanitaria (e/o il professionista) che ne segua la gestazione e/o il parto” (Cass. Sez. 3, sent. 14258 del 2020, cit.), atteso che la prima si atteggia alla stregua di un soggetto, per così dire, “esponenziale” degli interessi, oltre che dello stesso nascituro, anche di tutti gli altri soggetti appartenenti allo stretto nucleo familiare in cui il medesimo, una volta nato, andrà ad inserirsi.
Non è in aperto contrasto con tale impostazione – che circoscrive, in ambito sanitario, l’operatività della figura dei “terzi protetti dal contratto” ai componenti della famiglia nucleare in relazione ai danni cagionati in occasione di prestazioni espletate nel corso della gestazione o del parto.
Invero, il principio affermato dall’arresto giurisprudenziale (si tratta di Cass. Sez. 3, sent. 19 marzo 2018, n. 6689, non massimata), il quale “connette al contratto di spedalità effetti protettivi anche nei confronti di chi sia legato da un particolare rapporto di natura familiare ed affettiva al diretto destinatario della prestazione sanitaria in ragione dell’esigenza di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi“, risulta pur sempre enunciato con riferimento ad un’azione risarcitoria esercita per danni verificatisi, “in occasione del parto“, ancorchè la vittima della malpractice fosse risultata, in quel caso la partoriente e non il nascituro.
Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza 26 luglio 2021, n. 21404