La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il rapporto tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e il c.d. mobbing e la relativa compatibilità con la nozione, pur semanticamente dilatata, di “famiglia” o di “ambiente para-familiare“, dell’ambito lavorativo in cui sono maturate le azioni ostili poste in essere nei confronti della vittima/lavoratore dipendente.
Nel caso di specie si tratta di comportamenti complessivamente ritenuti idonei a dequalificarne la professionalità, comportandone il passaggio da mansioni contrassegnate da una marcata autonomia decisionale a ruoli caratterizzati, per contro, da “bassa e/o nessuna autonomia“, e dunque tali da marginalizzarne, in definitiva, l’attività lavorativa, con un reale svuotamento delle mansioni espletate.
Pur essendo tale situazione di fatto astrattamente riconducibile alla nozione di “mobbing“, sia pure in una sua forma di manifestazione attenuata, dai Giudici di merito denominata nel caso di specie come “straining“, occorre tuttavia rilevare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di legittimità, le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing“) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra (rapporto supremazia-soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest’ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo (Cass., Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009; Cass., Sez. 6, n. 685 dei 22/09/2010; Cass., Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011; Cass., Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012).
La modulazione di tale rapporto, dunque, avuto riguardo alla ratìo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p., deve comunque essere caratterizzata dal tratto della “familiarità“, poichè è soltanto nel limitato contesto di un tale peculiare rapporto di natura para-familiare che può ipotizzarsi, ove si verifichi l’alterazione della sua funzione attraverso lo svilimento e l’umiliazione della dignità fisica e morale del soggetto passivo, il reato di maltrattamenti: si pensi, in via esemplificativa, al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera o a quello che può intercorrere tra il maestro d’arte e l’apprendista.
L’inserimento di tale figura criminosa tra i delitti contro l’assistenza familiare si pone in linea, del resto, con il ruolo che la stessa Costituzione assegna alla “famiglia“, quale società intermedia destinata alla formazione e all’affermazione della personalità dei suoi componenti, e nella stessa prospettiva ermeneutica vanno letti ed interpretati soltanto quei rapporti interpersonali che si caratterizzano, al di là delle formali apparenze, per una natura para-familiare.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 03/07/2013 n. 28603