La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la determinazione della durata nella messa alla prova sulla base delle indicazioni contenute nel programma di trattamento predisposto dall’UEPE.
Nel caso di specie il Giudice, senza interloquire con gli imputati, ha determinato la durata del lavoro di pubblica utilità, facendo implicitamente riferimento all’equipollenza per cui un giorno di lavoro consiste nella prestazione di due ore di lavoro in base all’art. 54 D.lgs. 274 del 2000, senza tenere specificamente conto dei parametri di cui all’art. 133 C.p.
Va premesso che in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, la giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato che qualora il giudice si limiti a recepire il programma di trattamento elaborato dall’UEPE d’intesa con l’imputato, l’onere motivazionale può intendersi soddisfatto attraverso il mero richiamo alla congruità del progetto, mentre, invece, quando il giudice proceda ad integrazioni ed alla concreta elaborazione del programma, è tenuto a dar conto delle scelte operate, in relazione alle peculiarità del caso concreto senza limitarsi al generico richiamo dei parametri di cui all’art. 133 C.p.. (Cass., Sez. 5 , n. 48258 del 04/11/2019); in tal caso, infatti, il giudice deve valutare l’adeguatezza della durata del lavoro di pubblica utilità stabilita nel programma trattamentale alla luce dei canoni di cui all’art. 133 C.p., tenendo conto delle esigenze lavorative e familiari dell’imputato, non essendo legittima la determinazione della durata applicando il canone di equipollenza tra un giorno di lavoro sostitutivo e due ore lavorative prevista dall’art. 54 D.lgs. 28 Agosto 2000, n. 274. (Cass., Sez. 6, n. 44646 del 01/10/2019).
Le indicazioni normative sulla concessione di messa alla prova, in particolare, si rinvengono nella previsione dell’art. 168-bis comma 3, C.p., che prevede che la sospensione del procedimento sia subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, di durata non inferiore a giorni dieci, anche non continuativi, e per non più di otto ore giornaliere, peraltro con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato. La disciplina vigente non prevede la durata massima e non prescrive indefettibilmente una determinata scansione giornaliera del lavoro di pubblica utilità, dovendosi aver riguardo alla durata massima della messa alla prova (a seconda dei casi un anno o due anni ai sensi dell’art. 464-quater, comma 5, C.p.P.), ma non potendosi direttamente utilizzare il canone di equipollenza dettato dall’art. 54 d.lgs. 274 del 2000, che disciplina l’applicazione del lavoro sostitutivo, inteso quale pena o comunque quale sanzione di tipo sostitutivo, tale non potendosi considerare la natura e la funzione del lavoro di pubblica utilità, contemplato dal programma nell’ambito della sospensione con messa alla prova (Cass., Sez. 6, n. 44646 del 01/1012019).
La definizione della durata e dalla scansione della prestazione lavorativa ben possono formare oggetto del programma elaborato dall’UEPE di intesa con l’imputato e di cui il Giudice deve valutare la concreta idoneità, salvaguardando le esigenze lavorative o familiari o di studio dell’imputato. Ove quella definizione di durata e scansione giornaliera non sia contemplata dal programma spetta al Giudice procedere alla concreta determinazione.
La valutazione del Giudice, dunque, anche in ordine alla concreta durata del lavoro di pubblica utilità non potrà che far riferimento ai canoni di cui all’art. 133 C.p., anche alla luce delle caratteristiche della prestazione lavorativa in rapporto a quelle esigenze indicate dall’imputato.
In proposito si è espressa la Corte Costituzionale che con Ord. n. 54/2017, nel dichiarare manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis C.p., (in quanto, nel disciplinare la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, non indica la durata massima del lavoro di pubblica utilità, né i parametri per determinarla e il soggetto competente alla determinazione) ha evidenziato come, benché non espressamente indicata, la durata massima del lavoro di pubblica utilità risulti fissata indirettamente dall’art. 464-quater, comma 5, C.p.P., poiché il lavoro di pubblica utilità non può eccedere la durata (non superiore a due anni o a un anno, rispettivamente a seconda che si proceda per reati per i quali sia prevista una pena detentiva o solo una pena pecuniaria) della sospensione del procedimento, alla cessazione della quale deve terminare.
Quanto alla asserita mancanza di parametri per determinare in concreto la durata del lavoro di pubblica utilità, il giudice deve tenere conto dei criteri previsti dall’art. 133 C.p. e delle caratteristiche dell’attività lavorativa. Né sussiste la prospettata violazione della finalità rieducativa della pena, essendo ben determinati, sia la durata massima della sospensione del procedimento, e correlativamente del trattamento di messa alla prova, sia i criteri da seguire per stabilire la durata concreta del trattamento.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 4320 Anno 2021