Le dichiarazioni spontanee nel giudizio abbreviato sono utilizzabili?
Le dichiarazioni spontanee sono dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria senza la presenza del difensore.
Ai sensi del comma 7 dell’art. 350 c.p.p.: La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall’articolo 503 comma 3.
L’art. 350 c.p.p., comma 7 consenta alla polizia giudiziaria di ricevere le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato, anche in assenza di difensore e senza la somministrazione degli avvisi previsti dall’art. 64 c.p.p.
L’art. 350 c.p.p. disciplina l’acquisizione di informazioni provenienti dall’indagato da parte della polizia giudiziaria “d’iniziativa“, ovvero senza la mediazione del pubblico ministero. La facoltà di interagire con l’indagato che non si trova in stato di arresto e di fermo (in tal caso il contatto con l’autorità giudiziaria è un presidio di garanzia che non prevede eccezioni) è concessa alla polizia giudiziaria soprattutto al fine di consentire il proficuo svolgimento dell’attività investigativa nelle fasi germinali del procedimento, quando lo stesso non è ancora stato preso in carico dal pubblico ministero.
Secondo la giurisprudenza di legittimità che nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese “contra se” dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perché l’art. 350, comma 7, C.p.p. ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (Cass., Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018; Cass., Sez. 5, n. 18048 del 01/02/2018; Cass., Sez. U., n. 1150 del 25/09/2008).
E infatti, per le dichiarazioni spontanee disciplinate dal comma 7 dell’art. 350 c.p.p., non è prevista la presenza del difensore (Cass., Sez. 2, n. 2539 del 05/05/2000: “Il dovere imposto all’autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., di non procedere all’esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall’inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell’ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3, cod. proc. pen., possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi“). (Corte di Cassazione n. 5683/2019)