Il diritto di obiezione di coscienza è disciplinato dalla L. n. 194 del 1978, art. 9, che prevede:
“Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli artt. 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente“.
Dalla norma citata si ricava che l’art. 9, comma 3, L. n. 194 del 1978, esclude che l’obiezione possa riferirsi anche all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento, riconoscendo al medico obiettore il diritto di rifiutare di determinare l’aborto, chirurgicamente o farmacologicamente, ma non di omettere di prestare l’assistenza prima ovvero successivamente ai fatti causativi dell’aborto, in quanto deve comunque assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione di gravidanza (Cass. Sez. VI, n. 14979 del 02/04/2013 nel caso di rifiuto del medico obiettore ad intervenire per prestare assistenza alla paziente nella fase del c.d. secondamento, avvenuta successivamente all’aborto indotto per via farmacologica da altro sanitario, sicché deve escludersi che sia stata richiesta l’assistenza in una fase “diretta a determinare l’interruzione della gravidanza“). Non può, pertanto ritenersi che il diritto di obiezione di coscienza esoneri il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento di interruzione volontaria della gravidanza, in quanto si tratta di interpretazione che obiettivamente non trova alcun appiglio nella chiara lettera della norma.
Invero, secondo la disciplina della legge n. 194 del 1978 l’obiezione esonera il medico esclusivamente dal “compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza“, diritto che peraltro trova il suo limite nella tutela della salute della donna, tanto è vero che il comma 5 dell’art. 9 della legge citata esclude ogni operatività all’obiezione di coscienza nei casi in cui l’intervento del medico obiettore sia “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo“. In questo caso, l’intervento del sanitario obiettore riguarda proprio quel segmento della procedura medica specificatamente diretta ad interrompere la gravidanza: il diritto dell’obiettore affievolisce, fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria salute. (Cass. Sez. VI, n. 14979 del 02/04/2013)
In sostanza la legge tutela il diritto di obiezione entro lo stretto limite delle attività mediche dirette alla interruzione della gravidanza, esaurite le quali il medico obiettore non può opporre alcun rifiuto dal prestare assistenza alla donna. D’altra parte, il diritto all’aborto è stato riconosciuto come ricompreso nella sfera di autodeterminazione della donna e se l’obiettore di coscienza può legittimamente rifiutarsi di intervenire nel rendere concreto tale diritto, tuttavia non può rifiutarsi di intervenire per garantire il diritto alla salute della donna, non solo nella fase conseguente all’intervento di interruzione della gravidanza ma in tutti i casi in cui vi sia un imminente pericolo di vita.(Cass. Sez. VI, n. 14979 del 02/04/2013)