Il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bi C.p. può essere aggravato dalla finalità di discriminazione o di odio razziale.
Nel caso di specie i comportamenti offensivi e vessatori nei confronti della persona offesa, vittima del reato di atti persecutori, erano stati perpetrati in modo da costringerla ad alterare le proprie scelte o abitudini di vita, cagionandole un perdurante e grave stato d’ansia e ingenerando nella donna un fondato timore per l’incolumità dei propri figli minori, tanto da indurla a chiedere al Comune di essere trasferita in un’altra abitazione.
Preliminarmente va ricordato che alla deposizione della persona offesa non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., potendo essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica rigorosa, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva dei dichiarante e dell’attendibilità intrinseca dei suo racconto (Cass., Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012).
Sul punto va riaffermato il principio secondo il quale la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso è integrata quando – anche in base alla Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la legge n. 654 dei 1975 – l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità (Cass., Sez. 5, n. 11590 del 28/01/2010), non essendo comunque necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all’esterno – e quindi a suscitare – il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, anche perché ciò comporterebbe l’irragionevole conseguenza di escludere l’aggravante in questione in tutti i casi in cui l’azione lesiva si svolgesse in assenza di terze persone (Cass., Sez. 5, n. 25870 dei 15/05/2013).
Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza 18 giugno 2015, n. 25756