La diversa qualificazione giuridica del fatto rispetto all’originaria imputazione, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, non attribuisce all’imputato il diritto alla rimessione nel termine per la scelta di riti alternativi (Cass., Sez. 5, n. 13597 del 12/03/2010). La questione di legittimità costituzionale dell’articolo 521 C.p.P. (Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza),
Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica.
nella parte in cui non prevede il diritto dell’imputato di essere rimesso in termini per formulare richieste di accesso a riti alternativi rispetto alla differente qualificazione giuridica attribuita con la sentenza, con possibile compressione dell’esercizio delle facoltà difensive.
In primo luogo, va osservato che dalla nuova qualificazione giuridica non discende alcuna violazione dei diritti di difesa, poiché la scelta dei riti alternativi (giudizio abbreviato, applicazione della pena, sospensione del processo con messa alla prova) che era possibile anche in relazione all’originaria imputazione; né può affermarsi che l’interesse alla scelta di un rito alternativo sia sorto solo per effetto della diversa qualificazione. Tale considerazione trova sostegno nell’insegnamento del Giudice delle leggi che, recentemente investito dei potenziali profili di illegittimità costituzionale dell’art. 141, comma 4 bis, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in relazione all’art. 162 bis del Codice penale, relativamente all’omessa previsione della rimessione in termini per proporre domanda di oblazione per effetto della diversa qualificazione giuridica operata nel dibattimento (Corte cost., n.192 del 31/7/2020), ha delineato le differenze strutturali tra le modificazioni del tema di accusa, conseguenti alle prerogative della parte pubblica (nella contestazione di fatti diversi e nuovi rispetto all’originaria imputazione nel corso del giudizio, sulla scorta dell’emersione di nuovi dati probatori) e l’attribuzione di un diverso nomen iuris allo stesso fatto all’esito del giudizio.
Mentre le modificazioni del fatto storico, conseguenza delle scelte della pubblica accusa in ragione della progressione nell’attività di acquisizione delle prove nel corso del giudizio (rispetto alle quali non può addebitarsi all’imputato un difetto di previsione in ordine a prevedibili esiti del processo), comportano la necessità di riconoscere all’imputato le condizioni per esercitare, rispetto al fatto come modificato, le prerogative difensive riguardanti le scelte sul rito e sui benefici derivanti dall’accesso ai riti alternativi, le modificazioni della qualificazione giuridica operate dal Giudice (attività processuale che l’imputato ben può prevedere sin dall’avvio del processo, trattandosi di operazione qualificatoria nella disponibilità anche dell’imputato) non delineano uno scenario processuale “non prevedibile” per la difesa e, pertanto, non richiedono interventi additivi rispetto al nucleo delle modalità di esercizio del diritto di difesa relativo alle opzioni processuali.
La compatibilità di tale opzione ermeneutica con le fonti sovranazionali è stata affermata dalla Corte di Giustizia Europea (Corte giust. 13 giugno 2019, causa C646/2017, Moro): chiamata a verificare l’eventuale contrasto della normativa nazionale con i contenuti della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (artt. 2, paragrafo 1, 3, paragrafo 1, lettera c, e 6, paragrafi 1, 2 e 3) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (art. 48, paragrafo 2), sul diritto di difesa), la Corte europea ha osservato che le indicate fonti esigono il diritto dell’imputato ad esser informato delle modificazioni giuridiche dei fatti oggetto di addebito in modo da assicurare l’opportunità di reagire in modo effettivo alle contestazioni, predisponendo in modo efficace la propria difesa, mentre da esse non discende alcun obbligo per i legislatori nazionali di prevedere nella suddetta evenienza una rimessione in termini dell’imputato per accedere a riti alternativi; allo stesso modo, non può desumersi, dalle garanzie assicurate a livello sovranazionale, la necessità di equiparare, a livello nazionale, i diritti riconosciuti all’imputato, in punto di fruibilità dei riti alternativi, nel caso di modifiche dei fatti oggetto dell’imputazione e di modifiche della loro qualificazione giuridica.
E’, altresì, insegnamento pacifico della giurisprudenza di legittimità quello a tenore del quale non è deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, “stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito” (Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018; analogamente Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012).
Corte Cassazione Sez. 2 n. 45068 Anno 2021