La concreta modalità di applicazione della misura cautelare di cui all’art. 282 ter C.p.P., la cui rubrica recita “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” è oggetto di discussione da parte della giurisprudenza di legittimità.
L’art. 282 ter C.p.P., è stato inserito nel codice dal D.L. n. 11 del 2009, insieme al reato di “atti persecutori“. Il “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa“, come evidente e, del resto, rilevato da pressochè tutta la giurisprudenza che se ne è interessata, è calibrato fondamentalmente sulle particolari esigenze di tutela della vittima dello stalking.
Il contenuto della misura è disciplinato nel comma 1 dell’articolo citato: “il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa“.
Il comma 2 della medesima disposizione estende il divieto, se necessario, impedendo l’avvicinamento rispetto alle persone in rapporti familiari e affettivi con la vittima.
Il comma 3 disciplina un’ulteriore misura, in quanto il giudice può imporre il divieto di comunicazione con la persona offesa (e gli altri soggetti del comma 2), con qualsiasi mezzo.
La disposizione prevede due prescrizioni finalizzate al precludere il contatto fisico tra persona offesa e indagato e una terza riferita ai contatti a distanza (spaziando dalla comunicazione gestuale alla telematica) che, però, non è prevista come autonoma, bensì, come aggiuntiva (“il giudice può, inoltre, vietare…“).
La preclusione del contatto fisico tra persona offesa e indagato è assicurata dal “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” ovvero “di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa“.
Tale misura è finalizzata ad impedire condotte minacciose o violente nei confronti di vittime predeterminate ed appare funzionale alla tutela dell’incolumità della persona offesa non solo da aggressioni verbali o fisiche, ma anche nella sfera psichica in conseguenza del turbamento derivante dall’incontro con l’indagato o dalla percezione della vicinanza dello stesso.
Il suo contenuto è duplice potendo il giudice prescrivere all’intimato di “non avvicinarsi a luoghi determinati”, in funzione del fatto che sono abitualmente frequentati dalla persona offesa, o imporre al medesimo di “mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa“.
La misura ha posto nella prassi applicativa un problema interpretativo sulla necessaria specificità delle prescrizioni in relazione ai singoli casi concreti. Sulla questione sono intervenute soluzioni giurisprudenziali prima facie differenti: parte delle decisioni ha affermato che è sempre necessario che il provvedimento cautelare indichi in modo specifico e dettagliato i luoghi rispetto ai quali è inibito l’accesso all’indagato; altra parte, invece, ha ritenuto sufficiente l’imposizione generica del divieto di avvicinamento alla persona offesa ovunque la stessa si trovi.
Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, l’ordinanza applicativa della misura cautelare deve determinare specificamente i luoghi oggetto del divieto di avvicinamento alla persona offesa.
Tale indirizzo trova la sua ragion d’essere non solo nel dato normativo nel quale si fa espresso riferimento a luoghi “determinati“, ma soprattutto nel fatto che le limitazioni poste all’indagato risulterebbero, altrimenti, eccessivamente gravose rispetto ai suoi diritti di libertà e locomozione; difatti, senza una chiara indicazione dell’ambito geografico del divieto di avvicinamento, egli verrebbe assoggettato a compressioni della propria libertà personale di carattere indefinito. Solo tipizzando la misura il provvedimento cautelare assume una conformazione completa, che consente il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare, garantendo, così, il giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, improntate alla tutela della vittima, e il minor sacrificio della persona sottoposta ad indagini. Si tratta di una linea espressa da Cass., Sez. 6, n. 26819 del 7/4/2011, intervenuta in un caso di atti persecutori e maltrattamenti commessi dal coniuge separato. In tale decisione la Corte ha messo in luce la peculiarità di questo nuovo tipo di misura che, differenziandosi dalle tradizionali misure cautelari “interamente predeterminate“, generalmente non necessitanti di integrazioni prescrittive, rimette al giudice la individuazione del contenuto prescrittivo della misura: “... sia la misura di allontanamento dalla casa familiare, che quella del divieto di avvicinamento si caratterizzano perchè affidano al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa“.
Tale peculiarità del contenuto della misura, oltre ad imporre una “accurata raccolta di informazioni da parte degli organi inquirenti” per poter indicare prescrizioni effettivamente adeguate al caso concreto, non fa venir meno la necessità di “indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto del divieto, perchè solo in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente l’esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare“.
La conclusione è che un provvedimento calibrato sul mantenimento di una data distanza dalla persona offesa ovunque essa si trovi in un dato momento non rispetta il contenuto legale e, comunque, prescrive una condotta generica. Un provvedimento che imponga di “mantenere una distanza non inferiore a metri 100 in caso di incontro occasionale” con la persona offesa“, applicabile persino nel caso in cui l’indagato non abbia cercato il contatto con la vittima, sarebbe caratterizzato da “eccessiva gravosità e (…) sostanziale ineseguibilità“.
Gli argomenti di questa decisione sono sempre stati richiamati espressamente dalle successive decisioni che sono giunte a conclusioni analoghe.
– Cass., Sez. 5 n. 27798 del 04/04/2013, pronunciando in materia di atti persecutori, tradottisi in continui appostamenti e pedinamenti ai danni della vittima, osserva che “non è concepibile una misura cautelare che si limiti a fare riferimento genericamente a tutti i luoghi frequentati” dalla vittima, o prescriva di “mantenere una determinata distanza” dai luoghi frequentati dalla persona offesa, giacchè si tratterebbe di un provvedimento che finirebbe con l’imporre una condotta di non Tacere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finirebbe per essere di fatto rimessa alla persona offesa“. E’, invece, sufficientemente determinato l’obbligo che faccia riferimento a luoghi ben individuati e noti all’indagato, “sicchè non risulta compromessa la chiarezza dell’obbligo, nè viene imposto un obbligo esorbitante dalle finalità della cautela“.
– Cass., Sez. 6, n. 14766 del 18/3/2014, afferma la necessità di determinare i luoghi oggetto del divieto che non possono essere individuati sulla scorta dei movimenti della persona offesa; il Collegio rileva, difatti, che la norma richiede la determinatezza dei luoghi e che non si può, per via interpretativa, ridefinire il contenuto correlandolo alla individuazione dei movimenti della persona offesa: “il giudice ha la possibilità di adeguare l’intervento cautelare previsto dall’art. 282 ter c.p.p., alle esigenze di specie attraverso le tre diverse flessioni previste, ma la scelta del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve rispettare la connotazione legale che lo vuole riferito a ‘determinatì luoghi, che è compito del giudice indicare a pena di una censurabile indeterminatezza“.
– Cass., Sez. 5, n. 495 del 21/10/2014, chiamata a pronunziarsi in un caso in cui la misura aveva disposto il divieto di avvicinamento alla parte offesa minore e all’abitazione della stessa con contestuale obbligo di osservare una distanza non inferiore a metri 200, ha ritenuto la “assoluta carenza di completezza delle prescrizioni imposte all’indagato, il quale effettivamente non appare nella condizione di rispettare l’obbligo che gli è imposto, non essendo stati indicati i luoghi dai quali lo stesso deve rispettare una distanza di almeno 200 m.”.
– Cass., Sez. 6, n. 8333 del 22/01/2015, relativamente ad un caso di maltrattamenti in cui era stato imposto all’imputato il divieto di avvicinarsi “ai luoghi frequentati” dalla persona offesa, ha sostenuto, con una motivazione sostanzialmente adesiva a Sez. 6, n. 26819 del 7/4/2011, cit., la necessità di indicazione in modo specifico dei “luoghi” oggetto del divieto. La decisione considera che, ferma restando “la necessità che il prevenuto non si accosti fisicamente alla persona offesa ovunque la possa intercettare“, il contenuto del provvedimento cautelare deve porre l’indagato (o imputato) in condizione di conoscere preventivamente, quali siano i luoghi frequentati dalla persona offesa ai quali non deve avvicinarsi in via assoluta. Un provvedimento privo di tali indicazioni, invece, non ha il contenuto legale richiesto espressamente dalla norma e, soprattutto, è del tutto generico, imponendo una condotta di non facere del tutto indeterminata e la cui individuazione è di fatto affidata alla persona offesa, eccessivamente gravoso e ineseguibile.
– Cass., Sez. 3, n. 1629 del 6/10/2015, in un caso in cui era in contestazione il reato di atti persecutori in concorso con il delitto di cui all’art. 609-bis C.p. ha affermato che “il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto del divieto, perchè solo in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente l’esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare“.
Le decisioni riconducibili all’altra linea interpretativa considerano le finalità della disposizione in esame la cui introduzione è stata condizionata dalla necessità di tutelare situazioni frequenti soprattutto nel caso di commissione del reato di atti persecutori, ovvero quando la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi. In tali situazioni, la norma consente di riferire il divieto di avvicinamento non a luoghi “statici“, bensì alla persona offesa in qualsiasi luogo si trovi. Con un tale provvedimento, quindi, non è più rilevante individuare i luoghi di abituale frequentazione della vittima. Anzi, quando ricorrano tali condizioni di pericolo, l’obbligo di indicazione dei luoghi rischia di essere addirittura “dissonante con le finalità della misura“, potendosi risolvere in un’autentica impossibilità di tutelare il libero svolgimento della vita sociale della vittima al di fuori di spazi predefiniti. Queste decisioni, poi, considerano come sia sostanzialmente irrilevante il rischio di una seria compressione della libertà dell’indagato: alle date condizioni vi è un contenuto coercitivo sufficientemente definito nel divieto di contatti ravvicinati con la persona offesa, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso dell’indagato. In detti termini, si segnala innanzitutto Cass., Sez. 5, n. 13568 del 2012 che ha deciso in un caso di imposizione del divieto di avvicinamento al coniuge, persona offesa del reato di cui all’art. 612 bis C.p. La motivazione si confronta espressamente con gli argomenti della citata sentenza n. 26819 del 07/04/2011 sul rischio di imporre un divieto dal contenuto indeterminato.
Seguono, poi, numerose altre decisioni sulla medesima linea:
– Cass., Sez. 5, n. 28677 del 14/03/2016; Sez. 5, n. 30926 dell’8/3/2016; Sez. 5, n. 48395 del 25/9/2014; Sez. 5, n. 14297 del 27/2/2013, e Sez. 5, n. 36887 del 16/01/2013, con riferimento a procedimenti per il reato di atti persecutori, affermano che non è necessaria una specifica predeterminazione dei luoghi frequentati dalla vittima ed interdetti all’indagato, essendo sufficiente il richiamo ai luoghi “abitualmente” frequentati, nè può ritenersi che in tale modo l’indagato sia sottoposto a “… limitazioni della propria libertà personale di carattere indefinito, estranee alle proprie intenzioni persecutorie e di fatto dipendenti dalla volontà della persona offesa. Le prescrizioni, anche quando limitate al generico riferimento al divieto di avvicinarsi alla persona offesa ed ai luoghi in cui la stessa in concreto si trovi, mantengono invero un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell’essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso dell’indagato” (Cass., Sez. 5, n. 19552 del 26/3/2013). In questi casi, facendo concreto riferimento a modalità tipiche di manifestazione del reato di cui all’art. 612-bis C.p. quali il “costante pedinamento della vittima (..) anche in luoghi nei quali la prima si trovi occasionalmente“, si sostiene che è ben possibile imporre tale particolare misura perchè consente di soddisfare le esigenze di tutela della vittima “anche laddove la condotta dell’autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria slegata da particolari ambiti territoriali“. A queste condizioni, tale particolare prescrizione non ha “un contenuto generico o indeterminato, come talvolta si è sostenuto, pure in dottrina, perchè rimanda ad un comportamento specifico, chiaramente individuabile: quello di non ricercare contatti, di qualsiasi natura, con la persona offesa…” (Cass., Sez. 5, n. 5664 del 10/12/2014).
Con riferimento al reato di cui all’art. 572 C.p., si è affermato come il divieto di avvicinamento ai “luoghi” e l’obbligo di non avvicinarsi alla persona offesa (ovvero di allontanarsi da essa) rappresentino due possibili contenuti della medesima misura che possono essere o meno applicati entrambi (Cass, S.U. 30 maggio 2006, n. 29907).
Va a questo punto segnalato brevemente il quadro normativo in cui si inserisce l’istituto in oggetto.
La misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è stata prevista nell’ambito di una serie di riforme mirate ad introdurre, nell’ambito del sistema penale, e non solo, misure orientate alla tutela specifica della vittima del reato.
La L. 4 aprile 2001, n. 154 ha inserito l’art. 282 bis C.p.P., che disciplina la misura dell’allontanamento dalla casa familiare e prevede al comma 2, con una formulazione prima facie simile a quella successivamente adottata nella disciplina del divieto di avvicinamento, la possibilità per il giudice di prescrivere, nel caso di allontanamento dalla casa familiare, anche il divieto di avvicinamento dell’indagato ai luoghi ove la persona offesa svolge la sua vita di relazione.
Il successivo D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori“, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, al fine dichiarato di maggiore incisività della tutela offerta rispetto ad allarmanti condotte persecutorie non adeguatamente contrastate, ha introdotto:
– sul piano del diritto sostanziale, il delitto di atti persecutori (art. 612-bis C.p.) che di solito si caratterizza per la reiterazione assillante di condotte intrusive, quali appostamenti, pedinamenti, telefonate, comunicazioni in forma elettronica e per l’assunzione di atteggiamenti minacciosi e intimidatori percepibili dalla persona offesa anche in assenza di diretto contatto fisico; il sistema penale, difatti, presentava fino a quel momento un vuoto di tutela rispetto ad una condotta illecita grave e frequente suscettibile di inquadramento in paradigmi normativi inidonei a contrastare efficacemente questo tipo di condotta;
– sul piano processuale, per offrire una risposta incisiva nel caso di condotte illecite mirate ad una vittima determinata o ai suoi congiunti, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.), nuova misura cautelare coercitiva che riprende ratio e struttura dell’art. 282 bis, costituendone una sorta di “perfezionamento“. La disposizione, nella intenzione del legislatore, mira sostanzialmente a prevenire sviluppi criminogeni potenzialmente degenerativi, in quanto la distanza tra l’indagato e la persona offesa dal reato dovrebbe evitare le occasioni di contatto agevolatrici della prosecuzione di condotte delittuose.
Ulteriore perfezionamento del sistema di protezione della vittima è rappresentato dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere“, che ha introdotto: a) regole di priorità di trattazione dei procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter, 582 e 583 quinquies, nelle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 576 C.p., comma 1, nn. 2, 5 e 5.1, e art. 577 C.p., comma 1, n. 1, e comma 2, considerati “spia” della degenerazione delle relazioni familiari o comunque personali; b) l’inasprimento delle pene dei reati che costituiscono tipiche manifestazioni di complesse relazioni domestiche; c) l’introduzione di nuove fattispecie di reato, tra cui l’art. 387 bis C.p., che punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Tale disposizione costituisce l’attuazione dell’art. 53 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, (“Convenzione di Istanbul“), ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77, nel punto in cui dispone che la violazione delle misure dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento e comunicazione con la vittima ad opera del destinatario deve essere sanzionata penalmente o comunque deve dare luogo a “sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive“.
Infine, con il D.L. n. 93 del 2013, e la citata L. n. 69 del 2019, è stata prevista anche per le misure degli artt. 282 bis e 282 ter C.p.P., la possibilità di utilizzo delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico), già disciplinata dall’art. 275 bis C.p.P., per la misura degli arresti domiciliari.
La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è la seguente:
“se, nel disporre la misura cautelare prevista dall’art. 282 ter C.p.P., il giudice debba determinare specificamente i luoghi oggetto del divieto di avvicinamento e di mantenimento di una determinata distanza“.
In conclusione, al quesito deve essere data la seguente risposta:
“il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282 ter C.p.P., comma 1) può limitarsi ad indicare tale distanza.
Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente”.
Corte di Cassazione S.U. n. 39005 del 28.10.2021