L’Allontanamento dalla casa familiare secondo il dispositivo dell’art. 282 bis C.p.P. (introdotto dall’art. 1, comma 2, della L. 4 aprile 2001, n. 154) stabilisce che:
Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.
Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.
I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l’ordinanza prevista dall’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.
Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende.
Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies e 612, secondo comma, 612 bis del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275 bis.
E’ indubbio che il campo effettivo di applicazione della misura dell’art. 282 bis C.p.P., sia quello dei reati in cui è particolarmente significativa la componente vittimologica; nella casistica, infatti, il reato più frequente è quello di maltrattamenti dell’art. 572 C.p.
Sul piano astratto, comunque, valgono le regole generali per le misure coercitive: l’art. 282 bis C.p.P., u.c., prevedendo che non trovino applicazione i limiti di pena di cui all’art. 280 c.p.p., se si procede per taluni dei reati ivi indicati, qualora commessi nei confronti dei conviventi prossimi congiunti (fermo restando il limite insito nella “casa familiare“), dimostra che, salvo la individuazione di esigenze cautelari specifiche, si tratta di misura applicabile per qualsiasi reato nel rispetto delle condizioni di legge.
L’art. 282 bis C.p.P., comma 1, prevede quale prescrizione principale l’allontanamento dell’indagato dalla casa familiare con la possibilità di autorizzazione del giudice al rientro (tipicamente per la visita ai figli).
Il comma 2 della medesima disposizione introduce anche la possibilità di un’ulteriore prescrizione, ossia il divieto di avvicinamento a “luoghi” determinati: “Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti“.
Tale seconda prescrizione è facoltativa e aggiuntiva rispetto alla misura principale dell’allontanamento (“può inoltre“), dato significativo per l’interpretazione dell’art. 282 ter C.p.P., ed è espressamente riferita solo ai “luoghi determinati“: il destinatario della misura deve essere informato dei luoghi ai quali non può avvicinarsi, indipendentemente dalla effettiva presenza della persona offesa nel dato momento.
Questa misura e, più in generale, l’intervento complessivo della L. n. 154 del 2001, con le ulteriori successive modifiche poi intervenute, dimostra che si è in presenza di un sostanziale adattamento del nostro sistema a modelli tipicamente di matrice angloamericana, in cui sono previsti provvedimenti che limitano le occasioni di contatto tra vittima e aggressore anche in ambito civile.
Difatti, la stessa L. n. 154 del 2001, ha introdotto, con l’art. 342 bis C.c., il nuovo modello di misura cautelare civile “ordini di protezione contro gli abusi familiari“: “Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d’ufficio, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter“.
Tali provvedimenti sono adottati dal giudice con provvedimento reclamabile; il decreto emesso in sede di reclamo non è ricorribile (Cass., Sez. 6 civ., ord. n. 29492 del 07/12/2017).
La violazione dell’ordine di protezione integra il reato (introdotto dalla medesima legge e oggi confluito nell’art. 388 C.p., con la “riserva di codice“) di “elusione di ordini di protezione contro gli abusi familiari“: quindi, si utilizza la sanzione penale per rafforzare un obbligo che mal si presta ad una esecuzione forzata civilistica.
A completare un quadro di contemporanea tutela penale e civile in tale materia si segnala che l’art. 282 bis C.p.P., prevede che il giudice penale adotti provvedimenti di imposizione di un assegno di mantenimento a carico dell'”allontanato” e a favore dei familiari, in assenza o comunque sino all’adozione dei provvedimenti in materia del giudice civile.
Corte di Cassazione S.U. n. 39005 del 28.10.2021