Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio

Divieto di licenziamento delle lavoratriciPoco più di mezzo secolo fa, ma sempre troppo tardi, si affermava in ossequio al principio di eguaglianza il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio attraverso l’emanazione della Legge 9 gennaio 1963, n. 7 “Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio“.

Invero, prima dell’emanazione della legge suindicata era diffusa la prassi dei licenziamenti delle donne in caso di matrimonio e che tale fenomeno aveva assunto dimensioni ancora più gravi a seguito dell’entrata in vigore della Legge 26 agosto 1950, n. 860, sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri ed a causa dei disagi ed oneri che questa aveva imposto agli imprenditori. (Corte Costituzionale sent. n. 27 del 1969).

Nel quadro di questa premessa la tutela accordata alle lavoratrici che contraggono matrimonio trova legittimo fondamento in una pluralità di principi costituzionali che concorrono a giustificare misure legislative che, in definitiva, perseguono lo scopo di sollevare la donna dal dilemma di dover sacrificare il posto di lavoro per salvaguardare la propria libertà di dar vita ad una nuova famiglia o, viceversa, di dover rinunziare a questo suo fondamentale diritto per evitare la disoccupazione. (Corte Costituzionale sent. n. 27 del 1969).

Già nel principio formulato dall’art. 4 della Costituzione è contenuta una direttiva in forza della quale il legislatore è abilitato a circondare “di doverose garanzie e di opportuni temperamenti” le ipotesi di licenziamento. Tali motivi valgono maggiormente quando l’incombente minaccia di licenziamento può comportare il sacrificio di un altro interesse parimenti tutelato dalla Costituzione: dall’art. 2, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non essere compresa la libertà di contrarre matrimonio; dall’art. 3, secondo comma, che impone di rimuovere ogni ostacolo, anche di fatto, che impedisca il pieno sviluppo della persona umana; dall’art. 31, che affida alla Repubblica il compito di agevolare la formazione della famiglia e, quindi, di intervenire là dove questa sia anche indirettamente ostacolata; e dall’art. 37, che stabilendo che le condizioni di lavoro devono consentire alla donna l’adempimento della sua funzione familiare non può non presupporre, in primo luogo, che le sia assicurata la libertà di diventare sposa e madre. Dal concorso del principio espresso dall’art. 4 e dalla garanzia della libertà desumibile dalle citate norme costituzionali deriva …  l’attuazione di quel principio di tutela del lavoro, art. 35, primo comma, che la Costituzione, in coerenza con l’art. 1, colloca in testa al titolo terzo relativo ai rapporti economici; e si può concludere che le restrizioni apportate al potere di licenziamento appaiono giustificate dal fenomeno sociale al quale si è voluto far fronte e dalla esigenza di salvaguardare la libertà e la dignità umana dei soggetti in favore dei quali la disciplina è stata disposta. (Corte Cost. sent. n. 45 del 1965)

L’art. 1 della Legge 9 gennaio 1963, n. 7, stabilisce la nullità dei licenziamenti delle lavoratrici che siano attuati a causa di matrimonio (comma secondo); colpisce con la stessa forma di invalidità le così dette clausole di nubilato inserite nei regolamenti (comma primo) e dispone (comma terzo) che il licenziamento intimato fra il giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, ed il compimento di un anno dalla celebrazione stessa si presume effettuato per causa di matrimonio. In connessione con quest’ultima statuizione e con riferimento al periodo di tempo ivi considerato, la legge stabilisce la nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice ove entro un mese esse non siano confermate all’Ufficio del lavoro (comma quarto) e limita (comma quinto) la facoltà del datore di lavoro di provare che il licenziamento non è stato intimato per causa di matrimonio alle sole ipotesi previste dalle lett. a, b e c del secondo comma dell’art. 3 della Legge 26 agosto 1950, n. 860, vale a dire ai casi: a) di colpa della lavoratrice, che costituisca giusta causa per la risoluzione del rapporto; b) di cessazione dell’attività dell’azienda alla quale essa sia addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto per scadenza del termine. (Corte Costituzionale sent. n. 27 del 1969).

Si può convenire che la disposizione in quanto preclude al datore di lavoro (al di fuori dei casi tassativamente previsti) la possibilità di provare che il licenziamento non è stato disposto a causa di matrimonio, rende assoluta la presunzione stabilita nel terzo comma e, in definitiva, pone un divieto temporaneo di licenziamento per qualsiasi causa che non rientri fra quelle elencate nell’ultimo comma. Tale congegno, tuttavia, non può non essere valutato nella sua strumentalità rispetto agli obiettivi perseguiti dal legislatore. La presunzione stabilita dalla legge, peraltro limitata ad un ben definito periodo di tempo, si coordina con il principio della nullità del licenziamento a causa di matrimonio, perché esonera la lavoratrice dal difficilissimo onere di provare che il matrimonio e la promessa di matrimonio è stato l’unico motivo del recesso del datore di lavoro. E non è dubbio che, una volta posta la presunzione, il legislatore dovesse necessariamente stabilire i casi nei quali la controparte può provare l’esistenza di una legittima causa di licenziamento e delimitarli in modo tale da evitare frodi e da consentirne il controllo giurisdizionale.

Ne consegue che la legge considera legittimo il licenziamento se la lavoratrice incorra in colpa costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto, se cessa l’attività della azienda cui essa era addetta, se è ultimata la prestazione per la quale era stata disposta l’assunzione o se è sopraggiunto il termine per il quale il rapporto era stato stipulato. (Corte Costituzionale sent. n. 27 del 1969).

Al di fuori di tali ipotesi opera la tutela accordata dalla legge, che sebbene cronologicamente lontana nel tempo, ha sempre una rilevanza attuale, sia sotto il profilo giuridico e sia sotto il profilo sociale e culturale.

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