Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata
Dispositivo dell’art. 69 Codice Penale
Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.
Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tien conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti.
Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.
La Corte Costituzionale ha richiamato tutte le precedenti pronunce che hanno ritenuto incompatibile con il principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., il meccanismo del divieto di prevalenza di singole circostanze attenuanti rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, riconducibile alla regola generale di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., nonchè le rationes decidendi sottese a quelle pronunce (“all’esigenza di mantenere un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria“, evitando l’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato”, sent. n. 251 del 2012” creata dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. Ha, quindi, evidenziato come la fattispecie in esame può abbracciare anche “condotte di modesto disvalore“, con riferimento non solo all’entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima, ma anche “alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza (come una lieve spinta) ovvero, nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione), che tuttavia già integra la modalità alternativa di condotta costituita dalla minaccia“; anche rispetto a tali fatti, la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: “una che risulterebbe, però, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva dei fatti medesimi – anche in rapporto alle pene previste per la generalità dei reati contro la persona -, se l’ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi“.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 18210 del 2024