La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio è inammissibile nell’ipotesi di riconciliazione tra i coniugi, ovvero quando gli stessi hanno ricostituito il consorzio familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali.
Giova, al riguardo, premettere:
a) che la declaratoria di cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato secondo il rito religioso non consegue automaticamente alla constatazione della presenza di una delle cause previste dalla L. n. 898 del 1970, art. 3 (oggi dalla L. n. 74 del 1987, artt. 1 e 7), ma presuppone, in ogni caso, attesi i riflessi pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento all’istituto familiare, l’accertamento, da parte del giudice, dell’esistenza (ovvero dell’essenziale condizione) della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio coniugale per effetto della definitiva rottura del legame di coppia, onde, in questo senso, lo stato di separazione dei medesimi coniugi concreta un requisito dell’azione, necessario secondo la previsione della citata L. n. 898 del 1970, art. 3, n. 2, lett. “b”, la cui interruzione, da opporsi a cura della parte convenuta (della L. n. 74 del 1987, art. 5) in presenza di una richiesta di divorzio avanzata dall’altra parte, postula l’avvenuta riconciliazione, la quale si verifica quando sia stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale e che, quindi, sottende l’intervenuto ripristino non solo di quelli riguardanti l’aspetto materiale del consorzio anzidetto, ma altresì di quelli che sono alla base dell’unione spirituale tra i coniugi (Cass. 26 novembre 1993, n. 11722; Cass. 9 maggio 1997, n. 4056; Cass. 17 giugno 1998, n. 6031; Cass. 28 febbraio 2000, n. 2217; Cass. 15 marzo 2001, n. 3744);
b) che l’accertamento dell’avvenuta riconciliazione tra coniugi separati per avere essi tenuto un comportamento non equivoco il quale risulti incompatibile con lo stato di separazione (da compiersi attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dagli stessi coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa della convivenza ed alla costituzione di una rinnovata comunione, piuttosto che con riferimento a supposti elementi psicologici, tanto più difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva: Cass. n. 6031/1998, cit.; Cass. n. 3744/2001, cit.), implicando un’indagine di fatto, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae, quindi, a censura, in sede di legittimità, la dove difettino vizi logici o giuridici (Cass. 13 maggio 1999, n. 4748; Cass. n. 3744/2001, cit.).
Corte di Cassazione civile, sez. I, sentenza 06/12/2006 n. 26165