L’educazione religiosa dei figli minori in caso di conflitto genitoriale trova fondamento nei principi della Costituzione italiana e in quello della laicità dello Stato e anche nelle norme del diritto comunitario e internazionale.
Tale questione è oggetto del provvedimento della Corte di legittimità (n. 2196/2019) che si riporta in commento in cui, sulla base della requisitoria del Pubblico Ministero, occorre, preliminarmente, osservare che “in materia di famiglia fondata sul matrimonio, vige il principio costituzionale secondo cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” (ex art. 29 Cost., comma 2). Prima ancora, è tra gli stessi diritti inviolabili dell’uomo che si annovera il diritto di libertà religiosa, garantito dalla Costituzione sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.), in ciò includendosi la famiglia, quale primo nucleo di naturale aggregazione sociale dell’uomo (ad es. Corte Cost. n. 138/2010). Tale diritto involabile trova anche una sua duplice declinazione da un lato nell’affermazione del principio di eguaglianza, là dove espressamente garantito (dall’art. 3 Cost.) anche sotto il profilo religioso, stante la pari dignità davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 Cost., comma 1), dall’altro nella specifica affermazione della libertà religiosa (“tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto”, cfr. art. 19 Cost.). Tale diritto di libertà del singolo cui corrisponde un diritto-dovere di ciascun genitore di istruire ed educare i figli (art. 30 Cost., comma 1) può incontrare un limite proprio nel pari diritto dell’altro genitore che abbia un credo religioso diverso, e, quindi, in un possibile contrasto tra i genitori stessi sul punto, limite che, là dove sfoci in un insanabile stallo, appare superabile alla luce delle specifiche disposizioni di legge, adottate sulla base della previsione costituzionale secondo cui si prevede che “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti” (cfr. art. 30 Cost., comma 2) e, comunque, in modo da assicurare adeguata protezione dell’interesse del minore (cfr. art. 31 Cost., comma 2). Ed è in forza di tali generali disposizioni costituzionali che è prevista dall’art. 316 c.c. e, in caso di separazione, dall’art. 337 ter c.c., la soluzione, affidata al giudice, del contrasto insorto tra i genitori su questioni di particolare importanza (qual è quella appunto relativa all’educazione religiosa del figlio minore), soluzione che, per legge, va adottata “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” dei figli ad una crescita sana ed equilibrata (cfr. art. 337-ter c.c.), “sicchè il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti” limitativi di pratiche o incontri propri di una determinata confessione religiosa, come tali “contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo” (Cass. n. 12954/2018). Detti principi di eguaglianza e di libertà di religione sono garantiti anche, come invocato dalla ricorrente, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (artt. 14, 8 e 9), principi di libertà che, secondo la stessa CEDU, possono essere limitati dalla legge da misure “necessarie, in una società democratica, per la sicurezza pubblica, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica o la protezione dei diritti e delle liberà altrui” (si veda la sentenza della Corte EDU, del 12 febbraio 2013, Vojnity v. Hungary, secondo cui, in materia di contrasto tra genitori sull’educazione religiosa da impartire a figli minori, si è ritenuto non accettabile un “differente trattamento, senza un’obiettiva e ragionevole giustificazione” ovvero basato “sulla sola differenza di religione”).
Sul punto la Corte di legittimità ritiene la requisitoria del Procuratore Generale pienamente condivisibile e coerente alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sezione I, n. 12594 del 24 maggio 2018, n. 9546 del 12 giugno 2012, n. 24683 del 4 novembre 2013) secondo, cui in tema di affidamento dei figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse del minore, stante il suo diritto preminente ad una
crescita sana ed equilibrata, sicchè il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti, relativi all’educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo.
Tuttavia la possibilità di adottare simili provvedimenti restrittivi, in presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall’adesione a un diverso credo religioso, non può essere disposta dal giudice sulla base di una astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori e che esprima un giudizio di valore precluso all’autorità giudiziaria dal rilievo costituzionale e convenzionale Europeo del principio di libertà religiosa.
Nè tale possibilità può basarsi sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori a una religione diversa rispetto a quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e che, originariamente, è stata trasmessa al figlio o ai figli come religione comune della famiglia perchè tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori.
Ne deriva che la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall’accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo e tale accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto.
Corte di Cassazione civile sez. I, ordinanza 30/08/2019 n. 21916